29 Giu Il giovane favoloso, il disprezzo per la minestra, il plaudo del tortellino al gelato l’ultimo desiderio
Giacomo Leopardi poeta e scrittore buongustaio, grande intenditore di cibi e di vini, sua la classifica dei 49
Ancona, 29 giugno 2024 – Oggi 29 giugno, sarebbe stato il suo compleanno. Come avrebbe festeggiato Giacomo Leopardi, a casa sua, a Recanati, in quel dì di festa? Già nei versi dello Zibaldone Leopardi definiva mangiare un’occupazione interessante, da praticare bene, perché il benessere fisico, mentale e morale dell’uomo sono la logica conseguenza di una buona digestione.
Il poeta marchigiano, biasimava la minestra e a soli undici anni ci scrisse sopra una poesia definendola negletta e vile, certo capace, sempre se buona, di resuscitare i morti ma è pur vero che bisogna essere morti per godere dei benefici della pietanza? Pertanto a morte la minestra e viva il tortellino di magro! Al primo posto nell’elenco che compose, dei 49 cibi di suo gusto.
A seguire maccheroni o tagliolini, capellini al burro, frittelle di ogni genere, di riso, di mele o pere, di semolino, di borragine, gnocchi di semolino o polenta, bignés, tante le verdure, soprattutto fritte, pasta fatta in casa, pesce e pochissime portate di carne. Ma come era preciso ed esigente sulla cucina, lo era altrettanto sul vino.
In una lettera al padre del 1826 da Bologna, critica e commenta: «E i nostri vini… non si venderebbero qui nel Bolognese a preferenza di questi vini fatturati e pessimi, tutti ingrati al gusto?».
Certo è che nella dispensa di Giacomo Leopardi sicuramente avremmo trovato frutta, verdura, uova, galline, conigli, salumi, bottiglie di olio, confetture, sottoli, sottaceti fatti in casa e del buon vino, insomma il meglio della produzione di una terra a vocazione contadina, posta nelle colline che degradano dolcemente verso il mare dove si ritrovano i pescatori con le loro reti, come si può osservare con lo sguardo all’orizzonte, dal Colle dell’Infinito.
Quel Colle tanto caro al poeta, a pochi passi dalla casa natale, dove nell’orto dell’antico Monastero di S. Stefano, ambientò la poesia L’Infinito.
Il Fai (Fondo ambiente italiano) d’intesa con il Comune di Recanati, il Centro Nazionale di Studi Leopardiani e il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, ha realizzato un progetto di riqualificazione e valorizzazione di quella porzione del Colle conosciuta come Orto delle Monache.
Il Fai, fondazione nazionale senza scopo di lucro per la tutela e valorizzazione dell’arte, della natura e dei paesaggi italiani e che ha a cuore la protezione dei luoghi speciali, gestisce le visite guidate e con il restauro di quella parte del Colle, si è posto l’obiettivo di mettere in relazione l’aspetto del paesaggio con la parte contemplativa e poetica dove Giacomo Leopardi usava recarsi per scrivere.
Per Leopardi il cibo non era solamente una fonte di sopravvivenza ma un esercizio del gusto e del piacere e proprio nei 49 piatti riportati nell’elenco che trovava appagamento.
Durante il soggiorno napoletano, tra i più sereni della sua vita, pur non privo di delusioni e amarezze, grazie a lunghe passeggiate quotidiane, apprezza la vivacità popolare, i colori, i suoni, i rumori e i sapori. Pietro Citati, scrittore e saggista (1930-2022) nel libro Leopardi, 2010, Mondadori, descrive Leopardi come uomo curioso e goloso ed è proprio il cibo che riuscì a volte a fargli superare le avversità e le contrarietà della vita.
Nel film di Mario Martone Il Giovane Favoloso del 2014, per ben due volte si vede il poeta, nella magnifica interpretazione di Elio Germano che gli valse il David di Donatello come migliore attore protagonista nel 2015, mangiare voracemente un gelato. Sembra infatti che Leopardi ne fosse ghiotto come di altri dolci.
Antonio Ranieri, suo amico e biografo, nel 1857, nella sua Notizia intorno agli scritti, alla vita ed ai costumi di Giacomo Leopardi , narra anche di un ultimo desiderio del poeta prima di morire che fu quello di mangiarsi un gelato e racconta di lui che era solito ordinare, al Caffè delle due Sicilie, tre grossi gelati per volta e chiedere al cameriere di metterli l’uno sull’altro per poi divorarseli con gusto. Per non parlare del sorbetto dell’abile gelatiere Vito Pinto, nella via di Toledo. Andava pazzo anche per le sfogliate frolle e i confetti cannellini di Sulmona.
Nel 1827 Giacomo Leopardi, da Bologna, scrive una lettera al padre sulla ricetta del latte e melle che ritiene molto semplice ma di difficile esecuzione. Questo denota la sua curiosità verso tutti gli aspetti della vita, compresa l’arte culinaria : «la ricetta del latte e melle è molto semplice perché consiste in fior di latte e panna, gelatina non salata e zucchero a piacere. Ma la principale consiste nella manipolazione, della quale mi hanno fatto una descrizione assai lunga e tale che io non so se la saprei rifar bene».
Giacomo Leopardi scrittore, poeta, intellettuale era amante della vita, della buona cucina e del buon vino, insomma un godereccio, il contrario di quell’immagine spesso incontrata nei banchi di scuola che lo voleva malinconico e infelice e non escludo che se fosse vissuto nel nostro tempo, sarebbe stato anche un ottimo critico enogastronomico.