30 Mar Beati i costruttori di pace
Cedere il passo alla diplomazia
Ancona, 30 marzo 2024 – «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Mai come ora le parole del vangelo di Matteo (Mt 5,9) risuonano così attuali e ci riportano a quanto sta accandendo intorno a noi. Don Carlo Molari, teologo e insegnante che ci ha lasciato nel 2022, diceva che nella traduzione in lingua corrente il testo è: «Beati quelli che diffondono la pace, perché Dio li accoglierà come suoi figli». Nella riflessione che ci regala sulla beatitudine relativa ai costruttori di pace scrive «La pace è un’armonia della persona che fiorisce nell’interiorità, si sviluppa come struttura di relazioni e caratterizza perciò tutti i rapporti sociali».
Sul pensiero di Molari scrive il teologo Vito Mancuso nell’articolo Carlo Molari (1928-2022). Il teologo convertito Il pensiero come stile di una vita. «Il suo punto di vista consiste nel ritenere che l’assolutezza del cristianesimo non riguardi il cristianesimo, ma i valori per i quali Gesù è vissuto ed è morto. La sua rivelazione “è nella storia ed è perciò accessibile a tutti, anche se non entrano nella Chiesa o non si riferiscono al Gesù storico».
Molari diceva che «Il problema della pace è oggi uno dei più assillanti per l’umanità, perché riguarda la sua sopravvivenza».
Contrariamente all’illogica della guerra occorre alimentare e sostenere i valori della pace. Si, voglio ripartire proprio da questi valori e dagli operatori di pace. Non è appropriato ricondurli ad un genere o associarli a una categoria, politica, sociale o religiosa. Voglio definirli solamente operatori per la pace. Il loro compito principale è costruirla e metterla in pratica. Nell’eredità di Don Molari troviamo queste universali parole: «La pace non è la semplice assenza di guerre, ma una modalità nuova di vivere i rapporti e di costruire un nuovo ordine sociale».
La costruzione della pace, come quella dell’amore per qualcuno o per qualcosa, passa attaverso gli atteggiamenti e le azioni personali, dalle pratiche comuni e dall’impegno politico. Il primo passo è rifiutare ogni forma di aggressività, violenza e intimidazione.
L’aggressività è una componente della natura umana. Per Alberto Pellegrino sociologo e saggista, “l’aggressività è una caratteristica umana che può incidere positivamente o negativamente sui rapporti individuali e di gruppo”. Per la sociobiologia l’aggressività è genetica mentre per la sociologia e psicologia sociale è un prodotto della società che può essere controllata con l’integrazione nelle comunità che va regolata da norme sociali.
L’interrogativo che si pone nel 1963 la storica e filosofa Hannah Arendt (1906-1975), nel suo saggio La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme è: “una persona può fare del male senza essere malvagia?”. La scrittrice avanza, in risposta, la teoria secondo cui individui banalmente comuni possono essere capaci di compiere il male senza rendersene conto, per “incoscienza”. Eichmann arrivò a compiere i suoi crimini contro l’umanità in circostanze che gli preclusero la possibilità di capire o percepire le conseguenze dell’atrocità delle sue azioni.
Da sempre l’uomo usa la forza per ridurre all’obbedienza. Pensiamo agli amerindi, popoli dell’Amazzonia, a rischio d’estinzione, nonostante le autorità brasiliane fingono di non vedere, come denunciato dalla Survival International, movimento mondiale per i diritti e la tutela dei popoli indigeni.
Nel 1986 esce nelle sale Mission, regia Roland Joffé, incantevole musica di Ennio Morricone. L’attore Robert De Niro è Rodrigo Mendoza, capitano spagnolo e cacciatore di schiavi, divorato dal rimorso per aver ucciso il fratello per gelosia, fugge nella foresta e raggiunge la missione dei gesuiti dove si pentirà del gesto e accoglierà il perdono facendosi prete. Jeremy Irons è Padre Gabriel, il missionario gesuita che riceve la sua confessione. Il film ambientato in Sudamerica nel 1750, narra la storia della tribù di Guaranì, ancora allo stato selvaggio, convertita al padre gesuita che vive a San Carlos, nel Paraguay, nella missione al confine fra le zone di influenza spagnola e portoghese.
Il rapporto pacifico e anti-schiavista con le popolazioni indigene, diventerà un elemento di disturbo nella spartizione del territorio per quel potere politico che minaccia l’espulsione dell’Ordine dei Gesuiti dalla Spagna e dal Portogallo, fino al punto di chiudere la missione e far tornare gli indios nella foresta. Nullo il tentativo dei missionari e degli indigeni di resistere passivamente ai militari spediti dalle autorità coloniali per distruggere la missione, tant’è che verranno massacrati pur insistendo nel credo della pace contro l’uso indiscriminato della forza.
Le storie di guerra e di violenza non hanno mai fine e sono alle nostre porte. Il 24 marzo 2024 si è tenuta la commemorazione in ricordo delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, per mano dei nazifascisti in risposta all’attacco partigiano in Via Rasella a Roma. Mentre scrivo si sta facendo luce sui responsabili dell’attentato del 22 marzo a Mosca, al Crocus City Hall. In Europa torna l’incubo terrorismo e si alza il livello di allerta per possibili attentati.
La diplomazia gioca un ruolo fondamentale nei processi di risoluzione dei conflitti. Far spazio alla diplomazia per far tacere le armi. Per uscire dallo stallo occorre percorrere la strada del negoziato. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato il 25 marzo la risoluzione 2728 per Gaza in cui si chiede il cessate il fuoco immediato e il rilascio di tutti gli ostaggi. Il Segretario generale Antonio Guterres ha detto che «questa risoluzione deve essere attuata, un fallimento sarebbe imperdonabile».
La strategia politica delle organizzazioni internazionali è fondamentale per la gestione delle guerre. La regola del Pacta sunt servanda (I patti devono essere rispettati) prevista dal diritto internazionale è oggi quanto mai necessaria. L’art. 26 della Convenzione sul diritto dei trattati (Vienna, 23 maggio 1969) Pacta sunt servanda, recita che «Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede», ciò significa che i patti, i trattati, le intese o più in generale gli accordi degli Stati vanno rispettati.
Alexander Langer (1946-1995), saggista, giornalista, ecologista, pacifista e politico, nel suo decalogo per l’arte del vivere insieme, all’ottavo punto ci parla dell’importanza dei «mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera». Scrive «Più chiaramente ci separeremo, meglio ci capiremo» c’è oggi una forte tendenza ad affrontare i problemi della compresenza pluri-etnica attraverso più nette separazioni. Non hanno dato buona prova di sè nè le politiche di inclusione forzata (assimilazione, divieti di lingue e religioni, ecc.), nè di esclusione forzata (emarginazione, ghettizzazione, espulsione, sterminio…). Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: «più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo». Consiglio di leggerlo e di prendere appunti.
Ringrazio gli operatori di pace che sono tanti. Ne riporto alcuni, non me ne vogliano gli altri, la Croce rossa italiana, la Comunità di Sant’Egidio, le Caritas diocesane, la Fondazione Rione Sanità, Amnesty International, Emergency e tutte le associazioni, ong, onlus che operano per la pace e l’integrazione contro ogni forma di violenza.
Corriere del Conero rispetta i diritti umani – Corriere del Conero respect human rights