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Tempi comici e cuore immenso per Giulio Golia

L’inviato de Le Iene ha chiuso il 10° Festival osimano del Giornalismo d’inchiesta delle Marche

Ancona, 19 settembre 2021 – Auditorium della Confartigianato imprese Ancona-Pesaro Urbino alla Baraccola. Dietro il banco dei relatori il presidente padrone di casa Graziano Sabbatini, il direttore artistico del Festival Claudio Sargenti, Giovanni Pasimeni e al centro lui, l’ospite della serata: Giulio Golia (foto), notissimo e apprezzatissimo inviato decano de Le Iene targate Mediaset.

Di fronte, una platea dimezzata dalle normative Covid composta in buona parte da giornalisti anconetani costretti lì forse più per i crediti formativi imposti dall’Ordine che per “fare il servizio”. Questa, in sostanza, la scena ieri sera della chiusura del decimo Festival del giornalismo d’inchiesta delle Marche organizzato dalle associazioni osimane Ju-Ter Club e + 76.

E Giulio Golia, napoletano verace che non lo nasconde affatto, ieri sera si è concesso e raccontato a mani basse ai suoi non colleghi. Già perché, per sua stessa e convinta ammissione, pur facendo inchieste giornalistiche di altissima professionalità, rischiosità ed umanità: «Non sono giornalista – ha ribadito più volte – Non credo serva un tesserino per fare questo mestiere».

Sul piano professionale, Golia nasce animatore nei villaggi turistici. Poi, sei mesi di spola in treno Napoli-Milano per fare provini in Mediaset grazie al fatto che da figlio di ferroviere il treno non lo paga. Finché un giorno, un custode Mediaset lo fa entrare di straforo ai provini di La sai l’ultima? Gli chiedono di lasciare il suo numero di telefono. Lui, insieme al bigliettino lascia alla commissione una caramella Golia. Ed è l’inizio di un lavoro che dura da 24 anni sulle reti berlusconiane.

Diretto, schietto, coraggioso, nelle sue inchieste Giulio Golia negli anni ha affrontato e presentato ai teleutenti le realtà quotidiane delle periferie abbandonate a se stesse; cento storie degli ultimi e della loro dignità; verità nascoste tirate fuori con studio e perseveranza, mandate in onda: «perché la gente deve sapere come stanno davvero le cose». Anche a costo della propria vita: «Problemi per la mia incolumità? Nooo, hanno provato a spararmi solo due volte».

«Ho visitato quasi tutte le periferie d’Italia – ha raccontato ieri sera – quella che mi ha colpito in negativo è quella di Roma: a sei chilometri dal Cupolone c’è gente che vive nel degrado, senza acqua e nessun tipo di servizi. In Africa è normale fare chilometri per portare un secchio d’acqua al villaggio. A Roma, nel 2021, non è ammissibile».

E via così: con le inchieste sulle periferie abbandonate, sulle navi dei veleni, sul caso Vannini che, anche grazie alla sua inchiesta giornalistica, ha portato in galera un’intera famiglia. «La notte dopo la sentenza non sono riuscito a dormire – ha confessato – mi sentivo responsabile in una vicenda dove non aveva vinto nessuno».

Ma il giornalismo d’inchiesta, ovvero la ricerca della verità, è anche questo. «Il 60% delle storie che racconto, lo strazio, l’umanità, il dolore e la sofferenza, mi resta dentro e devo imparare a conviverci perché non racconto storielle, racconto la vita, e la vita è fatta di persone».

Sì, c’è tantissima vita e umanità in questo giullare dei villaggi turistici che alla fine, per mestiere, ha scelto di raccontarcela la vita, nuda e cruda per quello che è. Senza un tesserino rosso, senza un’iscrizione all’Ordine dei Giornalisti ma con un cuore e un coraggio grandi così!

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