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Ode all’Infinito di Giacomo Leopardi

Nei duecento anni dalla scrittura della poesia

Camerano, 6 gennaio 2019 – “Grazie a Pausini, Zucchero, Giorgia, Vanoni, Paoli, Baglioni, Ligabue, Conte, Zero, Mannoia, Nannini, Turci, Venditti, Morandi, Pravo, Jovanotti, Vecchioni, Fossati, Guccini, De Gregori, Celentano, Mina. Le loro voci insieme un atto d’amore per la poesia“. Con questo “cinguettio” su Twitter, il ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo Dario Franceschini ha reso pubblici i nomi dei 22 cantautori italiani che hanno recitato L’Infinito nell’ambito dell’iniziativa Rai-Mibact che ha concluso le celebrazioni dei 200 anni della poesia di Giacomo Leopardi (foto).

Una bellissima iniziativa, nonostante qualche “stecca” d’intonazione e qualche pausa non adeguata all’enfasi della lirica da parte di alcuni dei suddetti, dimostratisi più a loro agio quando cantano se stessi. Una sfumatura, se vogliamo, rispetto all’atto d’amore che va applaudito sempre e comunque.

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,/E questa siepe, che da tanta parte/Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude./Ma sedendo e mirando, interminati/Spazi di là da quella, e sovrumani/Silenzi, e profondissima quiete/Io nel pensier mi fingo; ove per poco/Il cor non si spaura…”

L’Infinito è una delle mie poesie preferite, da sempre, fin dai tempi della scuola. Tanto, che l’ho inserita nel mio ultimo romanzo Il destino dei tonni. Perché un tale capolavoro non ha confini e sta benissimo anche collocato in Sicilia.

Me lo sono sempre immaginato il pallido e ventenne Giacomo, recanatese di nero vestito, intento a scrutare l’orizzonte oltre la siepe delle sue castrazioni mentali per provare a dare un senso alla sua esistenza. E a quella forza interiore che gli esplodeva dentro – figlia della ribellione dell’età, degli studi fatti, del giogo paterno, delle convenzioni dell’epoca (1818) – che lo spingeva a voler lasciare Recanati per vedere e capire il mondo esterno, per confrontarsi con le filosofie di altri maestri. Per sentirsi vivo, insomma.

Sarà che ci accomuna la stessa data di nascita, il 29 giugno; la stessa passione per la letteratura e la conoscenza filosofica dell’uomo; o quel senso congenito d’insoddisfazione di fronte ad ogni espressione della vita; sta di fatto che nessun altro poeta – e L’Infinito – è entrato nel profondo del mio io interiore come Giacomo Leopardi. Lontano mille anni luce per la sua grandezza e profondità da un piccolo me e dai miei ordinari lavori, ma così vicino come sentire e stati d’animo.

Con un privilegio unico, per me. Perché le colline marchigiane, la costa, lo stormire del vento tra gli alberi, la profondità che allarga il pensiero alla riflessione nel godere di tutto ciò, che vedo ascolto e percorro oggi, sono gli stessi che vedeva ascoltava e percorreva lui. Gli stessi che l’hanno ispirato e gli hanno permesso di scrivere un capolavoro universale come L’Infinito.

“E il naufragar m’è dolce in questo mare”.