Argomenti per categorie

L’odissea di un vero malato anconetano

La totale inefficienza organizzativa delle prenotazioni visite ed esami nei vari Cup

Ancona, 7 luglio 2020 – Metti che una mattina ti svegli (è il 2 luglio), vai in bagno e ti accorgi d’avere un problema serio. Molto serio. Che fai? Fai quello che ha fatto un nostro lettore: chiami subito il tuo medico curante e gli esponi, telefonicamente, il problema. Lui, solerte e professionale, ti prescrive tutta una serie di esami e visite specialistiche urgenti, e sottolineo urgenti, da prenotare entro tre giorni. Sì, ma dove prenotare? “Al Cup della Regione Marche”, la risposta secca del medico.

Torni a casa e telefoni al Cup regionale, che ha due linee dedicate. Una se chiami con cellulare, un’altra se chiami da fisso. Provi dal fisso, non risponde nessuno. Riprovi, e una voce femminile registrata t’implora di chiamare in un altro momento: “Non possiamo dare seguito alla sua richiesta, siamo troppo intasati”, è il succo del messaggio. Aspetti dieci minuti e riprovi. Stesso messaggio, e così via per qualche ora.

Allora provi dal cellulare. Nessuna risposta. Riprovi ancora e alla fine una voce femminile registrata t’informa che sei il 160esimo utente in lista d’attesa. Metti in vivavoce e aspetti. “La informiamo che lei è il 156esimo…” informa la voce. Dopo un po’: “è il 144esimo”… dopo un po’: “è il 121esimo…” e così via finché, dopo un’ora, un’operatrice in carne ed ossa risponde per dirti: «Il Cup regionale non prenota le visite urgenti, deve andare al Cup del suo Comune». Tu, piuttosto incavolato, la mandi a stendere. Lei, dopo un po’ ti richiama dal suo cellulare privato: “Abbi pazienza – dice sommessamente  – la colpa non è nostra ma della Regione che non apre gli sportelli al pubblico”.

Il giorno dopo, che è venerdì, vai al Cup comunale. Fai un’ora di fila con tanto di mascherina d’ordinanza. Quanto tocca a te, l’addetta in camice bianco si mette di fronte al computer e prova a prenotarti. Dopo mezz’ora buona di tentativi andati a vuoto (spiegando che ti sta facendo un favore), alza le mani: “mi spiace, il computer non mi permette nulla”. Allora tu, malato vero, fai un tentativo: “Se può, il favore me lo faccia fino in fondo. Le lascio tutto, lei provi con calma e quando ha fatto mi chiama e vengo a ritirare”. “Buona idea, fa lei, la chiamo nel pomeriggio”.

Nel pomeriggio lei chiama per dirti che non ce l’ha fatta. Che le prenotazioni urgenti vanno fatte al Cup dell’Inrca più vicino. Nella fattispecie, Osimo. Torni al Cup del tuo Comune – con l’incazzatura silenziosa che ti fa rizzare i capelli in testa – e ritiri le ricette urgenti. Il mattino dopo, è sabato 4 luglio, vai al Cup di Osimo. L’addetta ti prenoterebbe anche le visite e gli esami per il lunedì, ma per allora le ricette saranno scadute e dunque non è possibile. Tu gli spieghi che se saranno scadute la colpa non è tua ma del loro sistema che non funziona e dell’incapacità a trasmettere al cliente le giuste informazioni. E gli racconti la tua odissea. Rammentandogli, cosa non di poco conto, che il tuo è un problema serio.

Lei, mossa a compassione, chiama l’ambulatorio e spiega. Dall’altro capo del filo le danno l’ok per il lunedì mattina, 6 luglio, alle 9. Tu ringrazi e te ne vai, senza che ti sia stato dato uno straccio cartaceo a conferma dell’appuntamento. Il lunedì mattina sei puntualissimo alle 9 nella sala d’attesa dell’ambulatorio che è già gremita. Un infermiere entra ed esce dall’ambulatorio smistando il traffico manco fosse un vigile urbano e fa entrare le persone a sua discrezione. Ti avvicini e gli domandi quand’è il tuo turno. “Come si chiama? Che deve fare? Dov’è la prenotazione?” domanda lui e se ne va. Morale. Il medico ti riceve dopo tre ore esatte di sala d’attesa. E, per poter procedere alla visita, ti chiede il test del PSA. “Lo faccio il 10 luglio” gli rispondi tu.

Conclusione. Il nostro lettore, che avrebbe dovuto fare una visita urgente entro il 4 luglio, se l’è vista spostare al 14 luglio. Dieci giorni entro i quali sarebbe potuto morire alla sera, risorgere la mattina successiva e morire di nuovo la sera dopo per almeno dieci volte, nella totale indifferenza di tutti i componenti la catena: dall’addetta allo sportello del Cup al medico specialista. E si badi bene, il Covid-19 non c’entra nulla. C’entra un’oscena organizzazione del sistema messo in atto e tanto decantato a suo tempo dai vertici regionali in scadenza di mandato, per fortuna. Chissà se prima di lasciare le poltrone a qualcun altro, questi politici troveranno il tempo di vergognarsi. Non tanto, almeno un po’, giusto il tempo di chiedere scusa ai marchigiani.

© riproduzione riservata