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Covid-19, il punto dopo 81 giorni di resistenza

Le Regioni premono per riaprire mentre le famiglie hanno paura

21 aprile 2020 – Forse non ce ne rendiamo conto – il tempo scorre e scivola via in modo diverso se lo passiamo chiusi in casa – ma sono passati 81 giorni dall’inizio della prima manifestazione epidemica in Italia. Ricordate? Era il 31 gennaio 2020 quando la coppia di turisti cinesi risultò positiva al Covid-19. A seguire, il 21 febbraio, venne rilevato il primo focolaio d’infezioni con 16 casi confermati a Codogno, Lodi, Lombardia, passati a 60 casi il 22 febbraio. Con i primi decessi segnalati.

Da quel momento in poi e con ritardi forse comprensibili, forse inevitabili, di certo letali e devastanti, si sono create zone rosse di contenimento dei contagi in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Marche. Un Decreto ministeriale dopo l’altro le persone sono state rinchiuse nelle loro abitazioni; le aziende e le attività commerciali fermate. Mentre negli ospedali si consumava una battaglia impari fra medici, infermieri e operatori del soccorso male armati e un subdolo, invisibile, micidiale virus che per vivere e moltiplicarsi ad una velocità impressionante richiedeva il sacrificio estremo del suo ospite: l’uomo.

In uno scenario apocalittico fatto di città deserte, file di camion militari carichi di bare, podisti solitari rincorsi dai carabinieri, file interminabili davanti ai supermercati di gente che nasconde la propria angoscia dietro una mascherina, persone affacciate ai balconi a cantare e a sventolare il tricolore (foto by Di Pietro Luca Cassarino) – manco fossimo in guerra, anche se in realtà è così – siamo arrivati a ieri, al 20 aprile, registrando 181.228 casi positivi da coronavirus, 48.877 persone guarite e 24.114 decedute (l’equivalente della popolazione di Cingoli e Urbino).

E fra queste, 140 medici, oltre 30 infermieri e qualche operatore del soccorso. Con un macabro primato per l’Italia, terzo paese al mondo per numero di casi totali e secondo per numero di decessi. E non va dimenticato che quelli elencati non sono freddi numeri statistici, ma persone con un cuore pulsante che non pulsa più. E, dietro loro, centinaia di migliaia di parenti che li piangono senza neppure averli salutati. In qualche caso, senza neppure sapere su quale bara andare a versare il sale della disperazione.

Il Covid-19, oltre a produrre decine di migliaia di vittime, ha steso l’economia dell’Italia (e non solo). Le attività, ferme da troppo tempo, hanno bisogno di riaprire e tornare a funzionare il prima possibile. Dovranno essere supportate con l’iniezione d’ingenti capitali che non sono nella disponibilità del nostro Paese, che dovrà ricorrere ad un aumento sostanzioso del debito pubblico se vorrà essere efficace, Europa permettendo. Gli aiuti alle imprese, per essere davvero risolutori, dovranno essere a fondo perduto, non certo sottoforma di prestiti che nella stragrande maggioranza dei casi non potranno essere restituiti. Come si può pensare di far ripartire le attività obbligandole ad indebitarsi ulteriormente?

Siamo alla Fase 2, quella della ripartenza (ma ci sarà anche la Fase 3 e 4). Le Regioni premono per riaprire quanto prima, il Governo procede con forse troppa cautela e lentezza, tante famiglie temono una riapertura precoce e mal gestita che potrebbe vanificare i sacrifici fatti fin qui. Staremo a vedere, è questione di pochi giorni. Riusciremo ad essere gli artefici del nostro destino o continueremo a subirlo?