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Politiche 2018: lo spauracchio di una colossale marchetta politica

Allo stato attuale i numeri e gli accordi pre elettorali rendono impossibile la formazione di un governo stabile. A meno che…

Ma che elezioni Politiche sono state? C’è dell’incredibile nei risultati eppure è tutto vero. Me lo avessero detto dieci anni fa che sarebbe andata così non ci avrei creduto. Giusto un ricapitolo veloce arrotondando i rotti: exploit M5S primo partito in Italia al 32%; PD secondo al 19%, ma è una debacle; straordinaria Lega terza al 17%; Forza Italia quarta al 14%.

Italia spaccata in due: centro-nord al centrodestra e centro-sud al M5S isole comprese. Perché si sa, il reddito di cittadinanza promesso dai grillini fa gola a chi un lavoro non ce l’ha o ce l’ha precario, uno status molto diffuso da Pesaro in giù specialmente fra i giovani.

Di Maio, Salvini, Renzi: la possibilità di dare un governo al Paese in questa prima fase post elezioni è nelle loro mani.

Per un Di Maio che gongola felice, è lui il numero 1, c’è un Salvini che esulta, s’è preso la leadership del centrodestra mica quella del comitato di quartiere; complice un Berlusconi ormai attempato che ha perso lo smalto di un tempo ed è ormai al canto del cigno, più per raggiunti limiti d’età che per spirito e cervello. Un Berlusca talmente convinto dei suoi mezzi da dimenticare, nel corso degli anni, di allevarsi un delfino che gli potesse succedere. Forse l’aveva individuato in Angelino Alfano, ma l’allievo ha tradito il maestro ed è andata com’è andata.

Il risultato di queste elezioni che ha largamente premiato i cosiddetti “populisti” – così tanto denigrati in campagna elettorale dai partiti radical-chic e dall’Europa – è figlio unicamente dell’incazzatura degli italiani. Stufi, finalmente stufi, orgogliosamente stufi dell’imperialismo di un centrosinistra che, dal presidente Napolitano in giù, ha dimostrato di non tenere mai in considerazione le necessità primarie del popolo, anteponendo gli interessi di Palazzo ai loro fabbisogni.

Un risultato che è figlio, anche, di quel rifiuto popolare verso una Comunità Europea che, così com’è, agli italiani non piace affatto. Mentre il centrosinistra l’ha sempre asservita, coccolata, elogiata e assecondata.

Un risultato figlio dell’incazzatura degli italiani, dicevamo. Un’incazzatura che alla luce dei risultati numerici è stata prepotente sì, ma non sufficiente a permettere ai grillini o al centrodestra di governare il Paese. Per quell’oscena legge elettorale partorita, occorreva il 40% del consenso per riuscirci e né il M5S né il centrodestra lo hanno raggiunto. Per poco, qualche decina di seggi, una trentina o una sessantina a seconda delle Camere.

In un quadro politico come quello scaturito dalle urne, con i grillini pronti a sposare solo chi condividerà in toto il loro programma, con la Lega sulla stessa lunghezza d’onda, con il PD e Forza Italia che non faranno inciuci di sorta, trovare un accordo per raggiungere la maggioranza e formare un governo stabile è impossibile per chiunque verrà incaricato da Mattarella a provarci.

La Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio a Roma. Quanti Onorevoli eletti cambieranno banco e casacca per “agevolare” la formazione di un governo?

A meno che, e in politica tutto è possibile, qualcuno decida che per il bene del popolo sia giunto il momento di fare una delle più colossali marchette mai viste in Parlamento. Presidente Mattarella permettendo, ovvio. A onor di logica, il primo tentativo di formare il governo il presidente della Repubblica lo  dovrebbe concedere a Di Maio. In seconda battuta, a Salvini. Ma né l’uno né l’altro hanno i numeri sufficienti. E tutti gli altri possibili candidati a fornirglieli hanno già detto che non sono disponibili.

Una situazione di stallo che, allo stato attuale, non propone alternative percorribili. E che alla lunga potrebbe indurre Mattarella a dare l’incarico a un terzo superpartes come successe a suo tempo con Napolitano quando incaricò Monti.

A meno che, e in politica tutto è possibile, qualcuno decida che per il bene del popolo sia giunto il momento di fare una delle più colossali marchette mai viste in Parlamento. Non sarebbe la prima volta, anche se quest’ultima necessiterebbe di una marchetta stratosferica: rimangiarsi in toto la parola data in campagna elettorale. Oppure, per cinquanta o sessanta parlamentari eletti in una lista, decidere di cambiare sponda e bandiera. Una mossa che, se si colgono certi segnali, non dispiacerebbe a un buon numero di eletti del PD.

Matteo Renzi, il segretario PD ha congelato le proprie dimissioni in attesa degli sviluppi delle vicende legate alla possibile formazione di un governo dopo i risultati delle Politiche 2018. Quanti, del suo partito in queste ore, gli staranno dicendo: ‘Matteo, stai sereno’?

Già, il PD. Che fa Renzi, si dimette? Si. No, cioè… Sì, ha annunciato che si dimetterà ma solo dopo che sarà insediato il nuovo governo… (allo stato attuale delle cose, forse tra un anno). E che il suo successore verrà scelto attraverso le primarie e non da un ristretto gabinetto di partito (alle quali, ovviamente, potrà partecipare anche lui). D’altro canto, che gli importa? La sua candidatura nel collegio di Firenze è andata a buon fine, è stato eletto Senatore, lo stipendio se l’è comunque assicurato. Non male per uno che dopo il referendum del dicembre 2016 doveva andarsene a casa.

Il PD è allo sbando: passare in pochi anni dal 40% al 19% del consenso è una debacle mai vista o vissuta prima. Il partito si sta interrogando in questi giorni e dovrà capire dove vuole andare, con chi e come.

I risultati elettorali di due giorni fa pongono l’Italia di fronte ad uno scenario inedito, ingarbugliato, e allo stato attuale nessuno è nella posizione di poter dire chi è in grado, e come, di sciogliere i nodi della matassa. Occorrerà buon senso, visione d’insieme, attenzione ai bisogni della gente e perché no, occorrerà qualche vecchia, italica, sana e proficua marchetta risolutrice.