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Iceberg L’editoriale – Malainformazione web e malagiustizia

Le spalle larghe di un mestieraccio che è fra i più belli al mondo

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Fuori nevica da due giorni, o almeno ci prova con risultati alterni. Nevica di brutto sulle zone colpite dal terremoto – accumulando disagi su disagi a una disgrazia indicibile – e nevischia senza produrre troppi fastidi in zone appena sfiorate dal sisma. Se ci fosse una giustizia dovrebbe capitare il contrario. Una sorta di redistribuzione dei patimenti umani capace di riservarne a tutti un po’ anziché accanirsi solo con qualcuno.

Forse, se questa giustizia esistesse per davvero, il mondo in cui viviamo sarebbe migliore. Alla peggio, un po’ più equo. Ma purtroppo non è così. Questo è un mondo dove conta parecchio dove sei nato, come ci sei cresciuto, le opportunità che ti sei creato e gli sbagli che hai commesso.

Perché, diciamolo subito, di sbagli nella vita ne abbiamo commessi tutti. Nessuno escluso. Quel che fa la differenza è proprio il contesto. E questo, è una delle poche cose che non ci possiamo scegliere. Ce lo ritroviamo lì già bello e confezionato, e possiamo goderne o subirne i connotati a seconda dei casi. Poi sta a noi gestire la nostra esistenza all’interno del contesto che ci è toccato. E non è facile, specialmente quando sei giovane, specialmente quando sei nato sull’altra sponda del fiume, quella con poche opportunità.

La sto prendendo un po’ troppo alla larga… Questo editoriale è uno dei più difficili in oltre trent’anni di una piccola e onesta carriera. Guardo la neve marcia scendere obliqua e… e c’è quel fatto di tre giorni fa che ronza nella mente…

Due articoli, pubblicati a distanza di un giorno uno dall’altro che raccontano la stessa storia. Una storia iniziata nel 2002. Quindici anni fa… Che ovviamente non conoscevo. Ma andiamo per ordine. Parlo di una delle due storie, perché sono speculari, identiche, la storia di due amici. Uno di Sirolo, l’altro di Camerano. Un unico iter.

In redazione, come succede con regolarità, arriva un comunicato stampa emesso dal comando della Compagnia dei Carabinieri di Osimo, è la solita manfrina sempre più frequente oggigiorno: spacciatore pluripregiudicato condannato a 2 anni, con tanto di foto.

Come succede con regolarità, faccio un copia-incolla del comunicato dei carabinieri e della foto, li impagino senza aggiungere o togliere una virgola e pubblico il tutto su Corriere del Conero. Ovviamente, non firmo il pezzo, non è farina del mio sacco; lo chiudo, come succede quasi sempre in questi casi, con la firma “redazionale”.

Le reazioni dei lettori una volta letto il pezzo online mi lasciano esterrefatto. Reazioni tutte uguali: parlano bene, benissimo del pluripregiudicato arrestato e male, malissimo di quel mafioso di giornalista che ha scritto il pezzo e del giornale bugiardo, di parte, che lo ha pubblicato. Già…

Mi rendo conto che c’è qualcosa che non va. In trentaquattro anni di piccola e onesta carriera giornalistica una cosa del genere non mi era mai capitata. Mentre sul web vengo attaccato pesantemente, ritorno sui pezzi, li rileggo. Non ho scritto un rigo di mio, mi ripeto. Ma che cavolo di comunicato mi hanno mandato i carabinieri?

Alla fine capisco. E mi arrabbio. Tanto, tantissimo. Mi arrabbio con me stesso, per la mia stupidità, perché dopo trent’anni un simile errore non è concepibile. Mi arrabbio con quei due che a venticinque anni quello sbaglio se lo potevano anche evitare. Ma, soprattutto, mi arrabbio con i carabinieri che potevano evitarselo quel comunicato stampa così duro. E mi arrabbio – per la verità lo sono ancora – con la lentezza della giustizia italiana. Una giustizia assurda, inconcepibile, inaccettabile, da paese ultrasottosviluppato che impiega 15 anni, quin-di-ci anni, per arrivare a far scontare la pena di uno sbaglio.

Lo sbaglio di due amici che a venticinque anni – siamo nel 2002 – si perdono nell’incoscienza della droga e dei soldi facili che questa produce. Un grosso sbaglio. Uno di quelli che ti può rovinare l’intera esistenza.

Nel 2002, pizzicati dai carabinieri, i due vengono denunciati in attesa della condanna definitiva. Uno sbaglio, una pena da espiare. Non fa una grinza. Chi sbaglia paga.

Quel che fa una grinza, anzi, un solco profondo, una voragine, è il fatto che la giustizia per far espiare quella colpa ai due amici abbia impiegato quindici anni (2002 – 2017). Troppi, quindici anni, inaccettabile. Perché in quindici anni uno che ha commesso uno sbaglio in gioventù ha tutto il tempo di capire l’errore. E di correggerlo.

Ha tutto il tempo di redimersi, ricostruirsi una dignità, trovare un lavoro serio, una compagna di vita, mettere al mondo dei bambini, trovare un po’ di pace e di serenità. Un equilibrio. Ed è proprio questo ciò che hanno fatto i due amici in questi anni.

E quel comunicato stampa dei carabinieri arrivato in redazione tre giorni or sono, di tutto questo non ha minimamente tenuto conto. Come non ne ha tenuto conto l’iter di una giustizia oscena e inaccettabile. Come non ne ho tenuto conto io. Anche se non potevo tenerne conto perché non conoscevo nulla di questa storia. Mi sono fidato ciecamente e stupidamente, come ho sempre fatto, di un comunicato delle forze dell’ordine. Le quali, sia ben chiaro, hanno sbagliato nei toni ma comunque non hanno fatto altro che il loro dovere.

E allora, per concludere, ai due ragazzi della storia oggi quarantenni, chiedo scusa per la mia incapacità a cogliere ciò che poteva stare dietro a quel comunicato. E chiedo scusa anche a nome dei carabinieri, che non possono farlo in prima persona, e perché in fondo hanno fatto il loro dovere. E chiedo scusa a nome di una giustizia – e di chi l’amministra – che in casi come questo dovrebbe vergognarsi.