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Splendori e miserie del gioco del calcio

Il calcio raccontato nei libri

Ancona, 5 maggio 2024 – Lo scorso 22 aprile, irritualmente di lunedì, l’Internazionale di Milano, con ben cinque giornate di anticipo, ha vinto il Campionato italiano di calcio 2023/24, aggiudicandosi il suo ventesimo scudetto e il diritto ad appuntarsi sul petto anche la seconda stella (si ha diritto a una stella ogni dieci scudetti). Un traguardo importante, che ha dato il via a una settimana di festeggiamenti che si sono conclusi solo domenica 28 aprile. Prima di lei ci era riuscita solo la Juventus, che aveva raggiunto il traguardo della seconda stella nel lontano 1982, quarantadue anni fa.

Interstellar – Beppe Severgnini

Il Corriere della sera, quotidiano milanese, martedì 7 maggio celebra l’Internazionale e la vittoria del ventesimo scudetto (e della seconda stella) mandando in edicola Interstellar, autentico instant book scritto da Beppe Severgnini, editorialista del giornale e notoriamente tifoso interista. Severgnini, evidentemente, deve essere poco avvezzo alla scaramanzia. La tempestività dell’uscita, infatti, fa pensare che il libro lo avesse già scritto. Di libri sul calcio, lo si sa, ormai sono piene le librerie. Una produzione sterminata e in continua espansione. Libri scritti da ex calciatori, ex allenatori, mogli e figlie di calciatori, allenatori e calciatori ancora in attività, biografi degli uni e degli altri, giornalisti sportivi o romanzieri tifosi.

Bisogna però fare attenzione, perché in questo maremagnum ci sono anche alcuni titoli belli e importanti e di alcuni parleremo più avanti.

Quello tra il calcio e i libri, e tra il calcio e la letteratura vera e propria, è un connubio di vecchia data. Qualcuno si azzarda addirittura a farlo risalire al 1821, quando di fatto il calcio neanche esisteva, e a uno scritto di Giacomo Leopardi: Al vincitore nel gioco del pallone, che però esaltava Carlo Didimi, grandissimo giocatore marchigiano di pallone col bracciale.

In tempi relativamente più recenti, nel 1934, Umberto Saba pubblica Cinque poesie per il gioco del calcio. Una dichiarazione d’amore alla Triestina, la gloriosa squadra della sua città.
«Anch’io tra i molti vi saluto, rosso alabardati / sputati dalla terra natia, da tutto un popolo amati». O anche: «Il portiere caduto alla difesa / ultima vana, contro terra cela / la faccia, a non veder l’amara luce. (…) Presso la rete inviolata il portiere / – l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima, / con la persona vi è rimasta sola. / La sua gioia si fa una capriola, / si fa baci che manda di lontano. / Della festa – egli dice – anch’io son parte». Le conoscono in tanti, si studiavano anche a scuola.

Era interista invece, e avrebbe gioito della seconda stella, Vittorio Sereni, anche lui come Saba uno dei massimi poeti del nostro ‘900. Nel 1966 si decise a pubblicare Domenica sportiva, poesia rimasta a lungo inedita e dedicata (anche) alla rivalità storica tra l’Internazionale e la Juventus (Il verde è sommerso in neroazzurri. / Ma le zebre venute di Piemonte / sormontano riscosse a un hallali / squillato dietro barriere di folla. / Ne fanno un reame bianconero.). La storia a volte si ripete.

Pier Paolo Pasolini tifava Bologna ed era grande appassionato di calcio, anche giocato. Si è fatto ritrarre spesso in tenuta da calciatore, era un’ottima ala destra. In un’intervista uscita sul quotidiano La Stampa, nel 1973, Enzo Biagi gli domandava: «Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?» «Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri», la risposta di Pasolini. Fu lui, d’altronde, a dire: «Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno».

Ma il calcio non è solo cosa da poeti.

Come non ricordare lo scrittore Mario Soldati. Torinese e tifosissimo della Juventus cui ha dedicato molte pagine nei suoi libri. Nel suo romanzo più importante, Le due città, fa dire a un certo punto al protagonista Emilio: «La Juventus era una cosa seria; era, forse, ormai, la sola cosa seria della vita, visto che alla politica non si poteva più pensare, e pareva che non ci fosse speranza che il fascismo finisse».
Nel racconto Fuga nella mia città, invece, il protagonista torna da clandestino a Torino, per poter andare allo stadio a vedere una partita della sua Juventus. «Alle due ero già al campo di football. I borghesi della tribuna erano la stessa gente tra la quale ero cresciuto. Ero solo, ma in mezzo a loro mi sentivo a casa mia. Entrarono in campo i giocatori. Urlai, con tutti gli altri, il mio entusiasmo. E la partita cominciò, e fu tutto come una volta».

Febbre a 90′ – Nick Hornby

Oppure il bellissimo Zamora, del compianto Roberto Perrone, giornalista sportivo (e non solo) del Corriere della sera. Ambientato nell’Italia del boom economico, narra la storia di Walter Vismara che deve improvvisarsi portiere nella squadra dell’azienda dove lavora per via della passione calcistica del datore di lavoro. A Vismara del calcio non importa niente, anzi, ma è costretto a fingere. I colleghi l’hanno già sopranominato Zamora, come il leggendario portiere del Real Madrid. Si farà aiutare allora in segreto da Cavazzoni, ex portiere del Milan e della Nazionale, finito fuori squadra per comportamenti non proprio esemplari nella vita privata. Nasce così una strana e grande amicizia incentrata sulle passioni che il gioco più bello del mondo può suscitare, anche in chi crede di essere del tutto indifferente al suo fascino. Da questo romanzo è stato tratto anche il film omonimo, Zamora, prima prova registica di Neri Marcorè, nelle sale proprio in questi giorni.

L’affermazione del binomio calcio – letteratura come genere si deve però a Febbre a 90’ dello scrittore inglese Nick Hornby, long seller in libreria, e già un piccolo classico. Hornby riesce nell’impresa di raccontarci la sua vita, dall’infanzia alla maturità, scandita dalle partite dell’Arsenal, la squadra del cuore. Chiunque sia appassionato di calcio non potrà che riconoscersi nelle abitudini, i tic e le ossessioni di questo assiduo frequentatore di stadi inglesi. Perché la febbre del calcio, a tutte le latitudini, sembra essere la stessa. Ma questa febbre, ci vuole suggerire l’autore, ha soprattutto la funzione di sopperire a mancanze d’altro tipo. Hornby pensa infatti ci sia un assoluto parallelismo tra successi e insuccessi dell’Arsenal e venture e sventure della propria vita. Come tutti i veri tifosi, d’altronde.

Nel 1998, per le edizioni Einaudi, ecco un altro testo fondamentale: Futbol. Storie di calcio, libro postumo dello scrittore e giornalista argentino Osvaldo Soriano. In gioventù discreto calciatore lui stesso, poi cronista nei quotidiani e infine esule a Parigi dopo il colpo di stato in Argentina. C’è in Futbol tutta l’essenza e la spensieratezza sudamericana nell’approccio a questo sport. Sport che, scrive Soriano, «rallegrava la vita di tanta gente che non aveva mai messo piede in una scuola». Il racconto Il rigore più lungo del mondo, poi, è una delle cose più belle e divertenti mai scritte sul calcio. Leggere per credere

Chiuso per calcio – Eduardo Galeano

Nel 2023, la casa editrice Sur, pubblica Chiuso per calcio, dell’uruguaiano Eduardo Galeano, già autore del famoso Splendori e miserie del gioco del calcio. In questo nuovo libro, uscito postumo, vengono raccolti testi inediti e già editi in altri volumi. L’ autentico racconto di un pezzo di storia, non solo sportiva. Galeano diceva: «Ho imparato a scrivere nei vecchi caffè di Montevideo» e si definiva «uno scrittore ossessionato dalla memoria». Il calcio qui è dunque usato come metafora, e filtro, per affrontare argomenti politici, filosofici e sociali. Un centinaio di capitoli brevi e fulminanti che ci raccontano, con arguzia e incisività, come questo sport sia mito e business, onori e delusioni, glorie del passato e idoli moderni. Il titolo, Chiuso per calcio, fa riferimento al cartello, scritto a caratteri cubitali, che Galeano appendeva fuori della porta ogni quattro anni, in concomitanza con i Campionati mondiali. Per un mese si barricava in casa e non c’era per nessuno.

Il calcio ha subito a lungo, in passato, una sorta di pregiudizio elitario da parte di molti intellettuali che lo hanno considerato espressione di una società condannata al conformismo e all’omologazione.
Però qualcosa di intrinsecamente letterario, nella natura di questo sport, ci deve proprio essere. Vladimir Dimitrijevic, scrittore e editore serbo, nel suo libro La vita è un pallone rotondo scrive che l’inizio e la fine di una partita di calcio, decretati dal fischio dell’arbitro, sono come l’incipit e la conclusione di un libro.

Forse è vero, è proprio così: quando scatta l’alchimia, tifosi e lettori sono preda della stessa passione, del medesimo entusiasmo.

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