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Salman Rushdie

Sopravvivere alla fatwa

Ancona, 28 aprile 2024 – Il 14 febbraio del 1989 l’ayatollah Khomeini, leader politico e religioso dell’Iran, malato e ormai prossimo alla morte, si rivolse a tutti i musulmani del mondo con un messaggio alla radio di stato iraniana:

«Informo tutti i buoni musulmani del mondo che l’autore dei Versi satanici, un testo scritto e pubblicato contro la religione islamica, contro il profeta dell’Islam e contro il Corano, insieme a tutti gli editori e coloro che hanno partecipato con consapevolezza alla sua pubblicazione, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i coraggiosi musulmani, ovunque si trovino, di ucciderli immediatamente, cosicché nessuno osi mai più insultare la sacra fede dei musulmani».

Una vera e propria fatwa, cioè una sentenza emessa da un’autorità religiosa e vincolante per tutti i musulmani.

Salman Rushdie

Inizia ufficialmente quel giorno l’incubo di Salman Rushdie che dei Versi satanici è l’autore. Nato nel 1947 a Bombay, in India, ma presto trasferitosi in Inghilterra, Rushdie era già autore in precedenza di altri tre romanzi e con il secondo, I figli della mezzanotte, aveva vinto nel 1981 il Booker Prize, il premio più prestigioso per i libri di lingua inglese.

Versi satanici, un romanzo di più di 600 pagine, è un libro molto complesso. Ma, in sostanza, la parte controversa e incriminata è quella in cui viene descritto un lungo sogno di uno dei protagonisti che rievoca un momento di debolezza di Maometto. Il profeta dell’Islam, in pratica, viene ingannato dal diavolo che lo spinge a dichiarare che le tre figlie di Allah, tre divinità pagane del pantheon arabico, erano degne di essere venerate. E questo venne considerato come un vilipendio, un’autentica bestemmia da parte dell’Islam più integralista. Il romanzo era uscito il 5 ottobre del 1988 per l’editore Viking Penguin, che fu immediatamente sommerso da migliaia di lettere di protesta. Nel giro di neanche due mesi, venne messo al bando in India, Sudafrica, Thailandia e, ovviamente, in tutti i paesi a maggioranza musulmana. Nel dicembre del 1988, a Bolton nel Regno Unito, 7mila musulmani scesero in piazza e bruciarono le copie del libro. Ma l’episodio più eclatante fu a Islamabad, in Pakistan, dove il 12 febbraio 1989 più di 10mila musulmani si ritrovarono per l’ennesima manifestazione contro il libro e vennero uccise 6 persone dalla polizia che sparò sulla folla.
Due giorni dopo, la fatwa di Khomeini.

Quella sentenza, nel corso degli anni, ha causato la morte del traduttore giapponese del libro, Hitushi Igarash, nel luglio del 1991. Negli stessi giorni era stato picchiato e ferito a coltellate Ettore Capriolo, che aveva tradotto il libro in Italia (per Mondadori nel 1989). Nel 1993 William Nygaard, l’editore svedese dei Versi satanici, fu invece ferito a colpi di pistola nonostante vivesse già da tempo sotto scorta.
Il governo britannico, nel frattempo, aveva inserito Rushdie in un rigido programma di protezione che prevedeva, inizialmente, addirittura il cambio di residenza ogni tre giorni e nessun tipo di contatto, né telefonico né di persona, con parenti, amici e conoscenti. Un incubo, appunto. Dopo poco, infatti, questa situazione ebbe come primo deleterio risultato la fine del matrimonio dell’autore. E così via peggiorando.
Nel 2012 Rushdie ha raccontato nel dettaglio cosa è stato della sua vita da quel febbraio del 1989, nello strepitoso memoir Joseph Anton (Mondadori 2012), che sarebbe poi il nome con cui ha vissuto in clandestinità per molti anni, Joseph come Joseph Conrad e Anton come Anton Cechov, i suoi scrittori più amati. Un libro dove, oltre che delle sue vicissitudini, si parla di un argomento ancora attualissimo proprio in questi giorni: la battaglia cruciale per la libertà di espressione.

Ma quando ormai l’autore, dopo più di trent’anni dalla fatwa, era quasi tornato a vivere una vita normale ecco che tutta questa storia ha un tragico epilogo. Il 12 agosto del 2022, durante un incontro pubblico al Chautauqua Institution, nello stato di New York, Salman Rushdie subisce un attentato da parte di Haidi Matar, un 24enne integralista musulmano, che ai tempi della fatwa di Khomeini non era neanche nato. Quindici coltellate, ventisette secondi in tutto, che gli hanno procurato gravissime lesioni al collo, al petto, al fegato e quelle più gravi alla mano sinistra e all’occhio destro, compromettendone definitivamente l’uso. Un vero e proprio miracolo che sia riuscito a sopravvivere.

Adesso, a distanza di quasi due anni, arriva in libreria Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio (Mondadori), l’ultimo bellissimo libro di Salman Rushdie. Ancora un memoir, dove si dà conto di quello che è accaduto dopo quel tragico 12 agosto. Con uno stile crudo, a volta ai limiti del cronachistico, evitando ogni forma di retorica, lo scrittore ci racconta tutto il suo sconcerto e il suo dolore (anche quello fisico). Ma Coltello non parla solo di questo. C’è anche tanto amore in questo libro, quello totalizzante della moglie soprattutto, che non lo lascerà mai un attimo, quasi a fare da contraltare all’odio che questa tragedia l’ha generata. E anche l’amore delle persone che sono riuscite a fermare Matar e hanno aiutato Rushdie letteralmente a non morire nell’immediatezza dell’attentato. E poi la vicinanza amorosa degli amici scrittori, Paul Auster, Ian McEwan e Martin Amis che di lì a poco invece morirà lui, di cancro all’esofago. Ma prima di morire, non riuscendo più a parlare, gli invierà una splendida mail: «Devo ammettere che, in occasione del nostro primo incontro dopo l’atrocità, mi aspettavo di trovarti cambiato, per certi versi ridimensionato. Neanche per sogno: eri e sei sempre intatto, ancora tutto intero. E ho pensato, sbalordito: è ALL’ALTEZZA della situazione».

Potremmo insomma dire che in questo memoir si percepisce un grande amore per la vita. Non solo, perché è pure una importante riflessione, oltreché sulla violenza, su quello che può succedere a un uomo libero, e a maggior ragione se quest’uomo libero è anche uno scrittore. Scrive Rushdie: «All’uscita dei miei ultimi libri, la gente aveva smesso di farmi domande sugli attacchi contro Versi satanici e contro di me. E ora rieccomi qui, trascinato di nuovo e mio malgrado in questo discorso. Adesso temo che non riuscirò mai più a eluderlo. Qualunque cosa io abbia scritto o possa scrivere di qui in avanti, ormai sarò sempre quello che è stato accoltellato».

Salman Rushdie presenterà Coltello. Meditazioni dopo un tentato assassinio il prossimo 10 maggio alle 18 e 30, al Salone Internazionale del Libro di Torino presso l’Auditorium del Centro Congressi, in dialogo con Roberto Saviano.

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