19 Ago Alain Delon anche sul grande divo si sono spenti i riflettori
Premiato a Cannes, nel suo discorso: «È difficile durare, è difficile andarsene»
Ancona, 19 agosto 2024 – Passati pochi giorni dalla chiusura dei giochi olimpici, in Francia si sono spenti i riflettori anche su uno dei suoi figli più celebri. Alain Delon se ne è andato dopo una lunga malattia, nella sua casa di Douchy, in campagna, nella Valle della Loira, non molto lontano da Parigi, il 5 novembre avrebbe compiuto 89 anni.
Nel giorno che Cannes lo consacra divo di tutti i tempi conferendogli la Palma d’oro d’onore alla carriera, commosso ringrazia il suo pubblico perché dice, gli deve tutto. Nel suo discorso durante la premiazione, nel 2019, racconta che quando iniziò il suo lavoro di attore gli dissero che sarebbe stato difficile durare e al contrario dell’infausto presagio, fu presente nelle scene per 62 anni.
Non nasconde la difficoltà nell’andarsene, facendo sottintendere come fosse complicato per lui lasciare il mondo del cinema, da sempre considerato la sua vita.
Proprio a Cannes si conclude ufficialmente la sua carriera, da dove era iniziata, quando, per la sua bellezza, fu notato dal regista Yves Allégret che nel 1957 gli offrì una piccola parte nel film Godot.
Delon oltre che bello era anche bravo. La sua fama mondiale iniziò già negli anni sessanta recitando in Rocco e i suoi fratelli, di Luchino Visconti, film ambientato a Milano e tratto da una raccolta di 19 racconti di Giovanni Testori, Il ponte della Ghisolfa, pubblicata nel 1958.
Stupenda la sua interpretazione ne Il Gattopardo del 1963, tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sempre sotto la regia di Luchino Visconti. È Tancredi Falconeri, il giovane affascinante nobile siciliano, nipote prediletto di don Fabrizio Corbera Principe di Salina, ruolo recitato accanto alla straordinaria Claudia Cardinale.
Nel 1969 interpreta uno dei suoi personaggi più celebri, il gangster Rogert Startet nel noir Il clan dei siciliani, diretto da Henri Verneuil, dall’omonimo romanzo di Auguste Le Breton, insieme a Jean Gabin, Vittorio Manalese, siciliano emigrato a Parigi a capo del clan criminale e Lino Ventura nella parte del commissario Le Goff. La colonna sonora, diventata iconica, composta dal maestro Ennio Morricone, accompagnerà Delon nel suo passaggio con la figlia, sul red carpet, a Cannes, in quel 2019.
Delon sarà ricordato oltre che per le due doti di attore, anche per essere stato un’icona di fascino, bellezza, dallo stile inconfondibile e dall’eleganza che hanno influenzato generazioni di ammiratori.
Il suo sorriso ammaliava gli spettatori come il suo sguardo, così intenso e affascinante che contribuirono a quella sua immagine di bello e dannato e a farne il divo inquieto dall’inconfondibile faccia d’angelo.
Lavorerà nel 1970 nel film Borsalino, storia di malavita marsigliese, diretto da Jacques Deray. Un poliziesco ambientato negli anni trenta, con Jean Paul Belmondo e l’attrice Mireille Darc, stella del cinema francese, morta a Parigi nel 2017. In un’intervista di lei dirà: è stata la donna della mia vita.
Lungo il loro sodalizio professionale e sentimentale e nonostante la loro relazione, una delle più celebri all’epoca, finì nel 1983, rimasero molto legati.
Ma come succede a volte ai divi del cinema, quella di Delon è stata una vita di successo ma anche di solitudine. La depressione, le liti familiari, la malattia, lo resero vulnerabile fino al punto di desiderare di morire perché diceva di non aspettarsi più nulla dalla vita. Il suo peggioramento fisico e mentale era già noto dal 2022.
Quella di domenica scorsa per lui è stata La prima notte di quiete, riprendendo il titolo del film del 1972 del regista Valerio Zurlini, girato principalmente a Rimini, Riccione e Misano Adriatico. Una delle riprese anche ad Ancona, alla Villa Favorita, nella zona Baraccola, oggi sede dell’Istao.
In quella pellicola, Delon ha il ruolo principale, quello del professore Daniele Dominici, un giovane inquieto, di nobile famiglia, dalla quale era fuggito anni prima, supplente di lettere in un liceo a Rimini, è anche un poeta e un suo libro s’intitola La prima notte di quiete, preso da un verso di Goethe.
Lo aveva dedicato a una ragazza di quindici anni, di cui era innamorato e che poi rivelò abitare la casa abbandonata, quella di Ancona. Si era tolta la vita giovanissima per amore, pensando che i suoi sogni non si sarebbero mai realizzati.
Quel senso di inadeguatezza sta anche in Daniele, un uomo senza entusiasmo, dall’esistenza sospesa, nella desolazione morale, in uno stato di abbandono interiore per cui si lascia andare senza aspettarsi più nulla, senza illusioni e disincanto.
Quando Spider, nel film Giancarlo Giannini, chiede a Daniele Dominici il significato del titolo del suo libro di poesia La prima notte di quiete, Daniele risponde che la prima notte di quiete è la morte, perché finalmente si dorme senza sogni.