RUBRICA SOLDI & FINANZA. In tempi di Quantitative Easing è davvero difficile pensare di trarre soddisfazione economica da strumenti di investimento a basso rischio come conti correnti, conti deposito e buoni postali. Chi si è recato recentemente presso la propria filiale bancaria con l’intenzione di vincolare delle somme aprendo un conto deposito ha scoperto con amarezza percentuali di interesse sulle somme investite ridicole se non prossime allo zero.
Sono davvero finiti i tempi del tasso al 3% lordo proposto dalla banca con la zucca, che fino a qualche anno fa campeggiava su giornali e spot pubblicitari garantendo a fronte di un vincolo minimo temporale sulle somme versate, percentuali di interesse notevoli.
Se ci si accontenta di aver spuntato condizioni di contratto di c/c a costo zero e si decide di lasciare tutta la liquidità sullo stesso, bisognerebbe considerare che è abitudine delle banche offrire a canone zero solo rapporti che non prevedono remunerazione sulle giacenze. E poi basta un deposito medio superiore ai 5000,00 euro per erodere il capitale accumulato: scatta infatti il fisco con l’assoggettamento all’imposta di bollo, 34,20 euro annuali per le persone fisiche e ben 100,00 euro annuali per i soggetti diversi dalle persone fisiche che vanno sottratti al saldo del conto corrente.
Qualcuno, attratto dallo zero virgola, ricorre al metodo del “nomadismo”, cioè aprire e chiudere il conto corrente spostando la propria liquidità da un istituto di credito a uno completamente nuovo con cadenza pressoché semestrale (le banche infatti vedono con favore l’arrivo di “denaro fresco” e premiano il nuovo correntista con tassi leggermente più alti – ma comunque per periodi limitati di tempo). Che ne valga davvero la pena?
In un periodo di vacche così magre incuriosiscono le soluzioni di investimento più sofisticate, che attraggono e sono alla portata anche dei piccoli risparmiatori.
Tuttavia, per affacciarsi al mondo delle possibilità di investimento finanziario si richiede preventivamente di affrontare una riflessione approfondita su alcuni aspetti metodologici. Di seguito alcuni spunti.
Quali sono i motivi che spingono ad investire? L’acquisto di una nuova automobile, la nascita di un figlio, una casa di proprietà? Una riserva per andare una settimana ai tropici a Natale? In che fascia temporale collocare l’investimento (breve, medio, lungo termine)? I motivi per cui si decide di investire infatti influenzano la durata dell’investimento. E’ bene considerare che tendenzialmente più lunga è la durata dell’investimento, maggiori sono le probabilità di ottenere un profitto che batta la volatilità dei mercati.
Così come maggiore è la propensione al rischio e maggiore sarà la possibilità anche di ottenere una significativa crescita del capitale, ma attenzione perché allo stesso tempo si possono subire delle perdite sul capitale investito.
Va considerato se si è attratti solo dalla possibilità di incrementare il capitale o anche dalla possibilità di ottenere un flusso reddituale aggiuntivo: le statistiche riportano che gli investitori più giovani sono solitamente concentrati ad ottenere il primo risultato, perseguendo la crescita del capitale, mentre investitori collaudati si spingono a ricercare fonti di reddito ulteriore utili a finanziare i loro impegni di spesa.
Tipicamente, per chi si avvicina alla pensione, potrebbe essere saggio ridurre il più possibile la possibilità che quanto è stato risparmiato possa essere perduto a causa delle oscillazioni del mercato. Sull’altro versante, un soggetto giovane potrebbe gradire un approccio al rischio più elevato, poiché potrebbe cambiare rotta sulla strategia di investimento scelta e modificarla completamente in ogni momento, recuperando in breve tempo eventuali perdite.
Un altro aspetto da considerare è decidere quanto investire. Un buon consulente dovrebbe rispondere che è bene vincolare – rispetto ai risparmi complessivi – solo la somma di denaro che si ritiene non servirà per tutta la durata prefissata dell’investimento. Ma è altrettanto importante decidere ogni quanto investire. Esistono infatti gli strumenti ordinari che consentono di investire una somma di denaro una tantum oppure altri che permettono di ricorrere ad un investimento periodico (ad esempio i PAC, piano di accumulo): consentono versamenti periodici di piccoli importi che vanno progressivamente ad accrescere il capitale investito, senza sforzi e con la possibilità di versare quando si vuole o interrompere i versamenti senza penalità, per poi riprenderli all’occorrenza.
Fondamentale è poi conoscere i costi di gestione dell’operazione e farsi spiegare dal consulente finanziario quali sono le commissioni previste e che importi hanno: talvolta dietro a prodotti che danno una buona resa vi sono costi “occulti” che annichiliscono i risultati della gestione al punto da mettere in discussione la scelta di quello specifico prodotto finanziario.
Infine, attenzione a quella malsana abitudine dell’investitore italiano, portata alla ribalta della cronaca finanziaria recente (si pensi al dramma dei correntisti di Banca Etruria, o degli azionisti di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza), di investire tutti i propri risparmi in prodotti “garantiti” dal bancario di fiducia. La verità è che un buon investimento non può prescindere da una pianificazione attenta e soprattutto ben informata sul prodotto.
Ma ancor prima va sonoramente sconsigliato l’investimento unidirezionale. I casi di cronaca citati ne sono l’esempio: risparmiatori che hanno concentrato tutti i loro risparmi di una vita verso un’unica direzione di investimento si espongono ad un azzardo enorme. La prima e più importante regola che deve caratterizzare ogni risparmiatore saggio, un mantra costante che non dovrebbe ammettere mai alcuna deroga è per l’appunto la differenziazione del rischio.
M.M.
Banca Marche perche non la citate!!!
La suddetta banca ha rotto tutta cristalleria depositata, è l’azionisti l’anno duvuta pagare profumatamente;è giusto?