30 Ago La Juventus di Thiago Motta
Non è mai troppo presto
Ancona, 30 agosto 2024 – Qualcuno l’ha già battezzata la Thiagocrazia. Thiago Motta sta cercando di rivoluzionare/rifondare la Juventus con un’idea di calcio tutto sommato molto semplice: spirito, coraggio, intensità, giovani e, soprattutto, merito.
Brasiliano naturalizzato italiano, 42 anni compiuti proprio mercoledì scorso, un passato da calciatore nel Barcellona, nell’Inter del triplete e nel Paris Saint Germain.
Poi il patentino a Coverciano e la nuova carriera da allenatore. Dallo Spezia alla Juventus con in mezzo un passaggio (trionfale) per Bologna. Il direttore dell’area sportiva dei bianconeri, Cristiano Giuntoli, lo ha fortissimamente voluto a Torino.
All’inizio un precampionato che aveva destato non poche perplessità, anche a causa di un calcio mercato ormai complicatissimo da gestire per qualsiasi squadra, adesso tutto sembrerebbe dargli ragione. Dopo le prime due giornate la squadra è prima in tutto: sola in testa alla classifica a punteggio pieno (un’antica abitudine che però a Torino si era quasi dimenticata), miglior attacco (6 gol segnati) e miglior difesa (0 gol subiti).
Siamo ad agosto, è vero, la classifica conta poco, ma Motta sembra aver attuato subito la sua rivoluzione (anche culturale) e tamponato i ritardi maturati nella campagna acquisti. Le altre squadre stentano, soffrono e perdono punti. La Juve, per adesso, vola. Non è mai troppo presto, sembrerebbe la sua filosofia.
3 a 0 all’esordio all’Allianz Stadium al Como di Fabregas e un altro 3 a 0 al Bentegodi contro l’Hellas Verona di mister Zanetti che sette giorni prima aveva letteralmente schiantato il Napoli di Antonio Conte. Un solo tiro in porta subito e neanche irresistibile.
Semplicità di gioco, cura quasi maniacale dei dettagli, pensare una partita alla volta e non curarsi delle gerarchie, questa la rivoluzione di Thiago Motta. Neanche i più incalliti e informati tifosi juventini sapevano chi fossero Mbangula e Savona, pescati dal forziere della Next Gen, prima dell’inizio della stagione. E invece hanno tolto la maglia da titolare a due nazionali brasiliani del calibro di Douglas Luiz e Danilo, il primo pagato 50 milioni in estate all’Aston Villa e il secondo che aveva indossato la fascia di capitano nelle ultime due stagioni.
Un altro messaggio forte e chiaro dell’allenatore: gioca chi dico io, gioca chi se lo è meritato in settimana e non chi ha il palmares più prestigioso. Lo hanno subito ripagato, in fin dei conti, andando già tutti e due in gol. Ma sembrano anche rivitalizzati i titolari dell’anno scorso. Locatelli, contestatissimo dai tifosi ormai da un bel po’, è stato il migliore in campo in tutte e due le partite di campionato. Per non dire dell’impetuoso Gatti, che sembra essere maturato definitivamente adesso che indossa lui la fascia di capitano.
Insomma, la squadra sembra aver trovato, dopo anni in cui era sembrata irriconoscibile, una sua vera identità.
Ora, con la fine di agosto e la chiusura del mercato, a Thiago Motta sono arrivati anche parecchi giocatori di grande qualità: Gonzalez, Conceicao, Koopmeiners. L’impressione, però, è che il posto in squadra dovranno sudarselo.
Ha scritto Luigi Garlando, su La Gazzetta dello sport: «Thiago, con l’aiuto dei giovani, sta mettendo a punto il gioco, che è la scatola, poi eventualmente inserirà i cioccolatini».
Questa è la Thiagocrazia, signori.
Il calcio in agosto, lo si sa, illude come gli amori da spiaggia. Vero. Ma di questa Juve partita a razzo non devono impressionare i numeri, deve impressionare la velocità con cui l’allenatore è riuscito a trapiantare le sue idee.
Motta sta mettendo sullo stesso piano i veterani e i ragazzini e riesce a tirare fuori il meglio da ciascun singolo giocatore. La sensazione forte è che di questa squadra se ne parlerà ancora molto, anche in primavera.
Perché poi il segreto della nuova Juve è forse molto più semplice di quel che sembri. L’ha rivelato Dusan Vlahovic nel dopo partita a Verona. Un giornalista gli ha chiesto cosa fosse cambiato rispetto all’anno scorso. Il centravanti serbo ci ha pensato un attimo e ha dato la più lapidaria e esaustiva delle risposte: «Noi».