16 Nov Gigi Riva, un eroe senza tempo
Il calciatore italiano più amato di sempre avrebbe compiuto 80 anni lo scorso 7 novembre
Ancona, 16 novembre 2024 – Il 7 novembre scorso Gigi Riva avrebbe compiuto 80 anni, ma continua a rimanere, per noi che lo abbiamo amato, un eroe senza tempo.
Eroe, sì, che secondo la definizione del Devoto Oli è: «Persona che per eccezionali virtù di coraggio e abnegazione si impone all’ammirazione di tutti». Non esiste infatti un altro calciatore, neanche Maradona, che in Italia è stato così ammirato e amato da tutti, trasversalmente, a dispetto del tifo e dell’appartenenza geografica.
Gigi Riva è stato il campione che ha fatto spendere ai giornalisti sportivi più aggettivi, più soprannomi fantasiosi. Su tutti resta quello che coniò per lui il sommo Gianni Brera: Rombo di tuono.
La città di Cagliari e la Sardegna tutta hanno voluto giustamente celebrare questa data e quell’uomo che, seppur lombardo, è riuscito nell’irripetibile impresa di avvicinare la Sardegna all’Italia e l’Italia alla Sardegna. Il Comune di Cagliari, in particolare, ha organizzato la Gigi Riva football week, una settimana di festeggiamenti con culmine al Teatro Lirico, proprio il giorno 7, in una serata denominata in sardo Sa festa a cui hanno partecipato tra gli altri anche Gigi Buffon, Claudio Ranieri, i giornalisti Giorgio Porrà e Alessandro Bonan e Riccardo Milani, regista del bellissimo film Nel nostro cielo un rombo di tuono, che si può vedere su Sky e su Now.
D’altronde, quella tra Riva e l’isola è uno delle più belle storie di amor corrisposto mai esistite. Non a caso, in una intervista rilasciata a Elvira Serra sul Corriere della Sera il 6 novembre, il figlio Nicola lo dice con parole tanto semplici quanto efficaci: «papà amava la Sardegna quanto la Sardegna amava lui», e c’è dentro tutto, fuori da ogni retorica.
Gigi Riva, da Leggiuno, in provincia di Varese, è arrivato (si dice molto contro voglia) a Cagliari nel 1963, non ancora diciannovenne, e lì è rimasto per sempre. E, anche se può sembrare riduttivo, questo legame quasi antropologico è l’elemento essenziale della carriera di questo immenso campione, il cui punto più alto, inevitabilmente, è stato lo scudetto epico vinto nel 1970 con la maglia rossoblù.
Proveniente da una famiglia di operai, presto orfano di padre e poi di madre e cresciuto dalla sorella maggiore, ma sempre in odore di povertà, approda quindi in una regione, o meglio in un’isola, che viene all’epoca considerata terra di pastori, pescatori, un luogo da cui emigrare per andare a cercar fortuna in continente, ma anche, vigliaccamente, una terra di banditi dediti ai rapimenti, tutt’al più, nella migliore delle ipotesi, come una destinazione punitiva per militari che hanno disobbedito alle regole. Gigi Riva, invece, in Sardegna trovò la libertà.
Lo hanno ricordato in pochi, ma nel 1963 il Cagliari militava ancora in serie B. Con l’apporto dei primi gol di Riva arriva subito la prima storica promozione in A, il 14 giugno del ’64.
Dopo aver contribuito, a suon di reti, alla salvezza della squadra al primo anno nella massima serie, Riva l’anno dopo viene convocato in Nazionale, dove esordisce il 27 giugno a Budapest contro l’Ungheria.
Prenderà poi parte alla (fallimentare) spedizione dei Mondiali del ’66 in Inghilterra. Nel ’67, in una partita contro il Portogallo, si frattura il pèrone e deve stare lontano dai campi di gioco per più di due mesi, nonostante ciò vince la classifica dei marcatori del campionato con 18 reti (in 23 partite). A novembre rientra in Nazionale e segna subito una tripletta contro Cipro. Nel giugno del ’68 si laurea campione d’Europa allo Stadio Olimpico di Roma, segnando il primo gol nella finale contro la Jugoslavia vinta dall’Italia per 2 a 0. L’anno successivo vince ancora la classifica dei marcatori di serie A.
Nel 1970, poi, vince il suo primo (e unico) scudetto con il Cagliari, il 12 aprile, e si conferma nuovamente capocannoniere. Sempre nel ’70 è vicecampione del mondo in Messico, dove forse delude un po’ le (troppe) aspettative che avevano riposto in lui. A novembre dello stesso anno, contro l’Austria, un’entrata assassina del difensore Hof gli provoca un’altra frattura del pèrone con strappo dei legamenti. Dovrà fermarsi cinque mesi e rientrerà solo nella primavera del ’71, non potendo praticamente giocare la Coppa dei Campioni col suo Cagliari. A settembre torna anche in Nazionale, dove continua comunque a dare il suo contributo decisivo per la qualificazione ai Mondiali di Germania. Il 20 ottobre segna il suo trentacinquesimo gol con la maglia azzurra (in 42 partite), record tuttora imbattuto e ben lungi dall’esserlo. Nel giugno del 1974 gioca l’ultima partita con la maglia azzurra, la quarantaduesima appunto.
All’inizio del ’76, durante la partita Cagliari – Milan l’ennesimo, e stavolta decisivo, infortunio che lo costringe a lasciare il calcio giocato a soli 31 anni. Rimarrà comunque indissolubilmente legato al Cagliari di cui sarà anche Presidente per un anno (’86 – ’87) e presidente onorario dal 2019 fino alla morte nel gennaio di quest’anno. Dal 1990 al 2013 è invece stato l’indimenticabile team manager della Nazionale, mettendo a disposizione di tutti la sua esperienza e, più ancora, il suo carisma.
Ma questi sono solo freddi dati statistici. E i dati statistici, alla fine, si limitano a finire negli annali del calcio e ci dicono solo del grande campione e non dell’uomo che è stato Gigi Riva. Sì, perché Riva ci lascia di sé, soprattutto, il ricordo di un grande, atipico italiano (non solo il più grande attaccante italiano di sempre). Non un maestro, se ne è guardato bene, ma solo un inimitabile esempio.
Gigi Riva è sempre stato taciturno, solitario, scontroso, altero addirittura, come è altera e poco espansiva quella Sardegna di cui è diventato figlio prima e simbolo poi, lui che veniva dal Lago Maggiore.
Ha amato tutta la vita, ricambiato, quella terra, quella gente e soprattutto quella maglia che ha incredibilmente (e irripetibilmente) portato alla vittoria, sfidando il potere, avversari più forti e pure gli infortuni, sembrava quasi gli bastasse solo far esplodere il suo sinistro: un rombo di tuono, appunto. Come ci sembrano lontani, adesso, quel 1970 e quel calcio. Non esiste più neanche l’idea, oggi, che lo sport possa essere riscatto sociale dalla marginalità, dalla povertà. Ecco allora che uomini come Gigi Riva ci vengono restituiti nella loro eccezionale misura umana, ancorché sportiva.
Negli ultimi anni praticamente non usciva più di casa. I pochi, veri amici per vederlo dovevano andare lì, lui li riceveva seduto in poltrona avvolto dal fumo di mille sigarette, la voce roca. Gigi Riva è morto, il 22 gennaio di quest’anno, nella sua Cagliari, rimanendo fedele a sé stesso e alle sue due terre fino all’ultimo. E questo in un tempo in cui la coerenza viene lordata da significati equivoci. Se ne è andato come se ne vanno solo gli eroi, senza bisogno di aggiungere nulla.
Per la gente sarda era, è e rimarrà per sempre GIggirriva. Hanno festeggiato il suo ottantesimo compleanno come ancora ci fosse o, come se per un miracolo, potesse ancora tornare. Come fa Giacomo Deiana, del ristorante Stella Marina, dove Riva è andato a mangiare quasi tutti i giorni per trent’anni, che gli ha lasciato il suo tavolo riservato per sempre, non ci fa sedere più nessuno neanche se il locale è pieno.
La Gazzetta dello Sport, il 23 gennaio, gli ha dedicato ben diciassette pagine. Colpiva, tra i tanti articoli vecchi e nuovi, una definizione della forza di Riva che, ai tempi, Tarcisio Burgnich, suo compagno di squadra in Nazionale e avversario con la maglia dell’Inter, diede al grande giornalista Mario Sconcerti: «Sembrava di sentire il rumore dei carri e la polvere alzarsi tutt’intorno».
Il giorno del funerale, a Cagliari, fuori della Basilica di Bonaria, c’erano più di trentamila persone. Piangevano tutti, sulle note della bella canzone di Piero Marras Quando Gigi Riva tornerà. Il figlio Nicola ha detto una cosa struggente e molto significativa: «quasi mi veniva da fare io le condoglianze a loro».
Maurizio Crosetti di Repubblica, che è nato nel ’62 e Riva lo ha visto giocare da piccolo, è stato inviato dal suo giornale a Cagliari nei giorni dopo la morte del campione e lo ha voluto ricordare così:
«Tutti volevamo essere Gigi Riva. Era dio, era papà, era il vento. Era la bellezza di una forza pura da romanzo, era Tex Willer, era Odisseo. Era il numero 11 scritto con gli uno stretti e lunghi come la sua schiena».
Ecco, questo è stato per noi che lo abbiamo amato Gigi Riva, che avrebbe compiuto ottant’anni lo scorso 7 novembre.
Piero Marras – Quando Gigi Riva tornerà