02 Giu C’era una volta
Lo stile Juve
Ancona, 2 giugno 2024 – Nelle ultime settimane si è molto parlato, anche se perlopiù a sproposito, di Stile Juve.
A scatenare la discussione, sulla carta stampata, sui social e ovviamente nei bar dello sport, è stata la imperdonabile sceneggiata di Massimiliano Allegri allo Stadio Olimpico di Roma al termine della finale di Coppa Italia, lo scorso 15 maggio, peraltro meritatamente vinta dalla Juve sull’Atalanta.
A due minuti dalla fine della partita l’allenatore toscano, che già da parecchi minuti sembrava furioso, si è fatto espellere dall’arbitro Maresca e si è esibito in un autentico strip tease (si è tolto la giacca, la cravatta e la camicia) corredato di pesantissimi insulti all’arbitro stesso, al quarto uomo, al designatore degli arbitri Rocchi e poi, una volta rientrato negli spogliatoi, si è reso protagonista di una autentica aggressione al direttore di Tuttosport Guido Vaciago.
Non contento di questo, se l’è presa anche con i dirigenti della squadra, rei di avergli preferito per il prossimo campionato l’ex allenatore del Bologna Thiago Motta.
Due giorni dopo è arrivato, inevitabile, l’esonero da parte della società bianconera, che ha così motivato: «per taluni comportamenti tenuti durante e dopo la finale di Coppa Italia che la società ha ritenuto non compatibili con i valori della Juventus e con il comportamento che deve tenere chi la rappresenta».
Massimiliano Allegri, però, il 15 maggio non è venuto meno allo Stile Juve, come il comunicato della società lascerebbe sottendere, quello era già morto e sepolto da anni.
Lo Stile Juve, d’altronde, è stato spesso equivocato dai più. Lo si è sempre implicitamente identificato, in maniera del tutto sbagliata, con l’allure dell’avvocato Gianni Agnelli: primo tifoso e a lungo proprietario della squadra. Alle sue buone maniere, all’erre arrotata, all’orologio sopra il polsino e ai colli delle camicie coi bottoncini slacciati sotto il completo Principe di Galles. Niente di più sbagliato.
Lo Stile Juve (senza virgolette) è sempre stato incarnato invece da Giampiero Boniperti, presidente della squadra dal 1971 al 1990. Prima, dal 1947 al 1961, ne era stato un formidabile attaccante (178 gol in 444 presenze) e aveva portato a lungo la fascia di capitano. Con John Charles e Omar Sivori, aveva dato vita a uno degli attacchi più prolifici della storia bianconera. Boniperti era uno che veniva dalle campagne intorno a Novara, figlio di una maestra e di un proprietario terriero. Quando giocava, si faceva pagare dalla famiglia Agnelli i premi partita in vacche (ancor meglio se gravide).
Da presidente portò a Torino un allora sconosciuto Giovanni Trapattoni, che è ancora oggi l’allenatore più vincente della storia della società torinese. Nell’estate del 1976 il suo capolavoro: acquistò due autentici veterani come Romeo Benetti e Roberto Boninsegna, che rispettivamente Milan e Inter avevano già dato per bolliti, e affidò loro una nidiata di giovani che diventeranno l’ossatura della Nazionale italiana campione del mondo nel 1982 (gente come Scirea, Cabrini, Gentile e Tardelli, tanto per intendersi) e quella che è stata, a detta di molti, la Juventus più forte di tutti i tempi (e per di più tutta italiana).
Il Presidentissimo, come era giustamente chiamato, allo stadio restava solo per il primo tempo delle partite, poi se ne andava. Non riusciva a reggere quelle emozioni, si sentiva troppo coinvolto. Detestava più di tutti i derby contro il Torino, erano le due partite di campionato che soffriva di più. Un suo grande rimpianto: avrebbe voluto portare alla Juve, dal Cagliari, Gigi Riva, Rombo di tuono, ma non ci riuscì. Dei suoi ragazzi amava più di tutti Gaetano Scirea: «lui è il calciatore ideale», diceva.
Boniperti coi calciatori non contrattava, li aspettava nel suo studio per rinnovare il contratto con la cifra già scritta e la penna Bic: dovevano firmare e basta, non c’erano discussioni. Se qualcuno recalcitrava, tutt’al più, lo portava a visitare la stanza dei trofei perché vedesse coi suoi occhi la grandeur bianconera. Perché lo Stile Juve, finché c’è stato, era solo due cose: un feroce senso d’appartenenza e vincere.
«Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», è d’altronde la frase di Boniperti entrata per sempre nel cuore di tutti i tifosi. In pochi, però, ne ricordano una ancora più bella: «La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore».
Nel 1990 Boniperti ha dato le dimissioni e lo Stile Juve, che aveva letteralmente forgiato, ci ha messo un po’ di anni a estinguersi. Ma poi, inesorabilmente, è successo. Il 18 giugno 2021, a 92 anni, Giampiero Boniperti ci ha lasciato. Gli è stato risparmiato di vedere qualche brutto spettacolo, non avrebbe certamente gradito.
Giovanni Arpino, uno dei massimi scrittori del nostro ‘900, tifosissimo della Juve, di lui scrisse: «Giampiero Boniperti (che sarebbe un magnifico governatore, come certi inglesi dell’Ottocento) incarna l’efficienza, la fedeltà ideale, il consistere: sono questi i suoi discorsi veri, scrivibili sul rettangolo di una cartolina. Eppure non lo capiscono, gli rinfacciano di non parlare mai, di non svelarsi. Basta guardarlo e intendere, invece».
Altri anni, altri uomini, un altro calcio.
Non necessariamente un calcio migliore, un calcio diverso.