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C’era una volta

Lo stile Juve

Ancona, 2 giugno 2024 – Nelle ultime settimane si è molto parlato, anche se perlopiù a sproposito, di Stile Juve.

A scatenare la discussione, sulla carta stampata, sui social e ovviamente nei bar dello sport, è stata la imperdonabile sceneggiata di Massimiliano Allegri allo Stadio Olimpico di Roma al termine della finale di Coppa Italia, lo scorso 15 maggio, peraltro meritatamente vinta dalla Juve sull’Atalanta.

Coppa Italia 2023-2024

A due minuti dalla fine della partita l’allenatore toscano, che già da parecchi minuti sembrava furioso, si è fatto espellere dall’arbitro Maresca e si è esibito in un autentico strip tease (si è tolto la giacca, la cravatta e la camicia) corredato di pesantissimi insulti all’arbitro stesso, al quarto uomo, al designatore degli arbitri Rocchi e poi, una volta rientrato negli spogliatoi, si è reso protagonista di una autentica aggressione al direttore di Tuttosport Guido Vaciago.

Non contento di questo, se l’è presa anche con i dirigenti della squadra, rei di avergli preferito per il prossimo campionato l’ex allenatore del Bologna Thiago Motta.

Due giorni dopo è arrivato, inevitabile, l’esonero da parte della società bianconera, che ha così motivato: «per taluni comportamenti tenuti durante e dopo la finale di Coppa Italia che la società ha ritenuto non compatibili con i valori della Juventus e con il comportamento che deve tenere chi la rappresenta».

Massimiliano Allegri, però, il 15 maggio non è venuto meno allo Stile Juve, come il comunicato della società lascerebbe sottendere, quello era già morto e sepolto da anni.

Lo Stile Juve, d’altronde, è stato spesso equivocato dai più. Lo si è sempre implicitamente identificato, in maniera del tutto sbagliata, con l’allure dell’avvocato Gianni Agnelli: primo tifoso e a lungo proprietario della squadra. Alle sue buone maniere, all’erre arrotata, all’orologio sopra il polsino e ai colli delle camicie coi bottoncini slacciati sotto il completo Principe di Galles. Niente di più sbagliato.

Giampiero Boniperti

Lo Stile Juve (senza virgolette) è sempre stato incarnato invece da Giampiero Boniperti, presidente della squadra dal 1971 al 1990. Prima, dal 1947 al 1961, ne era stato un formidabile attaccante (178 gol in 444 presenze) e aveva portato a lungo la fascia di capitano. Con John Charles e Omar Sivori, aveva dato vita a uno degli attacchi più prolifici della storia bianconera. Boniperti era uno che veniva dalle campagne intorno a Novara, figlio di una maestra e di un proprietario terriero. Quando giocava, si faceva pagare dalla famiglia Agnelli i premi partita in vacche (ancor meglio se gravide).

Da presidente portò a Torino un allora sconosciuto Giovanni Trapattoni, che è ancora oggi l’allenatore più vincente della storia della società torinese. Nell’estate del 1976 il suo capolavoro: acquistò due autentici veterani come Romeo Benetti e Roberto Boninsegna, che rispettivamente Milan e Inter avevano già dato per bolliti, e affidò loro una nidiata di giovani che diventeranno l’ossatura della Nazionale italiana campione del mondo nel 1982 (gente come Scirea, Cabrini, Gentile e Tardelli, tanto per intendersi) e quella che è stata, a detta di molti, la Juventus più forte di tutti i tempi (e per di più tutta italiana).

Italia campione del mondo 1982

Il Presidentissimo, come era giustamente chiamato, allo stadio restava solo per il primo tempo delle partite, poi se ne andava. Non riusciva a reggere quelle emozioni, si sentiva troppo coinvolto. Detestava più di tutti i derby contro il Torino, erano le due partite di campionato che soffriva di più. Un suo grande rimpianto: avrebbe voluto portare alla Juve, dal Cagliari, Gigi Riva, Rombo di tuono, ma non ci riuscì. Dei suoi ragazzi amava più di tutti Gaetano Scirea: «lui è il calciatore ideale», diceva.

Boniperti coi calciatori non contrattava, li aspettava nel suo studio per rinnovare il contratto con la cifra già scritta e la penna Bic: dovevano firmare e basta, non c’erano discussioni. Se qualcuno recalcitrava, tutt’al più, lo portava a visitare la stanza dei trofei perché vedesse coi suoi occhi la grandeur bianconera. Perché lo Stile Juve, finché c’è stato, era solo due cose: un feroce senso d’appartenenza e vincere.

«Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», è d’altronde la frase di Boniperti entrata per sempre nel cuore di tutti i tifosi. In pochi, però, ne ricordano una ancora più bella: «La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore».

Giampiero Boniperti

Nel 1990 Boniperti ha dato le dimissioni e lo Stile Juve, che aveva letteralmente forgiato, ci ha messo un po’ di anni a estinguersi. Ma poi, inesorabilmente, è successo. Il 18 giugno 2021, a 92 anni, Giampiero Boniperti ci ha lasciato. Gli è stato risparmiato di vedere qualche brutto spettacolo, non avrebbe certamente gradito.

Giovanni Arpino, uno dei massimi scrittori del nostro ‘900, tifosissimo della Juve, di lui scrisse: «Giampiero Boniperti (che sarebbe un magnifico governatore, come certi inglesi dell’Ottocento) incarna l’efficienza, la fedeltà ideale, il consistere: sono questi i suoi discorsi veri, scrivibili sul rettangolo di una cartolina. Eppure non lo capiscono, gli rinfacciano di non parlare mai, di non svelarsi. Basta guardarlo e intendere, invece».

Altri anni, altri uomini, un altro calcio.

Non necessariamente un calcio migliore, un calcio diverso.

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