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La sterzata a destra delle Marche

L’incapacità della sinistra ad accettare sui social le sconfitte politiche

6 ottobre 2020 – La presidenza della Regione, il Comune di Macerata e quello di Senigallia sono tre delle ultime roccaforti del centrosinistra, in ordine di tempo, che i marchigiani con libere elezioni hanno deciso di far governare dal centrodestra. Una svolta storica, politicamente parlando, che nel suo cono d’ombra nasconde insidie, riflessioni ed un evidente malcontento.

Parentesi. La scoppola più grossa, talmente evidente da saltare agli occhi con prepotenza, l’ha presa Maurizio Mangialardi: in un sol colpo l’esponente di punta del centrosinistra, presidente di Anci Marche e sindaco uscente di Senigallia, ha perso la corsa alla presidenza della Regione Marche e il Comune che amministrava. Le due cose, che ovviamente vanno insieme, portano ad una riflessione scontata: qui, nelle Marche, il Partito Democratico e la sinistra tutta hanno sbagliato il candidato. Non l’uomo, perché l’uomo non è in discussione, ma il politico certamente sì.

Un vero e proprio harakiri rosso quasi annunciato: Valeria Mancinelli, sindaco di Ancona Capoluogo di regione, era certamente un candidato più forte per il governatorato che il PD ha scartato da subito. E la signora, con stile e aplomb, ha fatto capire quanto fosse delusa nascondendo abilmente la rabbia sotto il vestito sgualcito dello spirito di corpo e di partito. Chiusa parentesi.

Il tempo, e le scelte dei nuovi eletti destrorsi, dirà se i marchigiani hanno fatto la scelta giusta. Quel che invece salta agli occhi del cronista social in questa svolta, sono le reazioni postate dagli elettori di sinistra sul web. Reazioni stizzite, spesso maleducate, quasi tutte supponenti. Figlie di quell’arroganza che nasce dall’orgoglio dell’appartenenza e della militanza di lungo corso. Un orgoglio che parte da lontano, che fonda e affonda le sue radici nella storia e nei destini di migliaia di famiglie contadine che l’hanno vissuta (la storia) pagando tributi in vite umane e sacrifici inenarrabili.

Dopo venticinque anni di regno ininterrotto della Regione ci sta che uno si senta invincibile, un po’ perché non ha mai perso per tanto tempo, un po’ per la storia che l’accompagna, un po’ per i clientelismi che ha messo in piedi nell’arco di un quarto di secolo. E questo a prescindere – strano ma vero – da quanto deciso, messo in campo e realizzato per il bene dei marchigiani e dei loro destini.

Quel che non ci sta, è quella totale mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario, figlia dell’incapacità ad accettare una sconfitta politica. Non ci sta la convinzione d’essere gli unici depositari della verità assoluta; gli unici capaci e delegati a scegliere quel che è giusto e quel che è sbagliato per i propri amministrati, gli unici baciati dal Signore e per questo autorizzati a denigrare chi non la pensi come loro.

Se i marchigiani hanno scelto di farsi amministrare da “altri”, sfidando il Padreterno, un qualche motivo ci sarà (parecchi, ad essere onesti). E la sinistra farà bene ad individuarli quanto prima. In politica i regni non durano a lungo, e quando certi castelli crollano fanno un gran rumore. Ma si è sempre ricostruito sulle macerie, specialmente le Chiese. Lo si è fatto cementando i mattoni uno sull’altro, però, non certo andando in giro a gridare che il nuovo capomastro è un idiota incapace, affatto all’altezza del precedente.

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