30 aprile 2020 – La sicurezza del singolo contrapposta alla necessità di lavorare. La salvaguardia della vita delle persone contrapposta alla morte economica (leggi chiusura delle attività), di chi ha un esercizio commerciale e deve restare chiuso ancora chissà per quanto grazie alle normative di contenimento della pandemia da coronavirus.
A dar retta ai Dpcm emanati dal premier Conte, i commercianti, gli esercenti, gli operatori turistici, i parrucchieri e gli estetisti marchigiani dovrebbero essere fra gli ultimi a riaprire le proprie attività al pubblico nell’imminente Fase 2. Si parla minimo del 1 giugno. Una data che, se dovesse essere confermata, sancirebbe la morte certa di tante attività. Altro che ripresa dell’economia!
Il dilemma è serio, serissimo, addirittura drammatico. Quanto si è disposti a rischiare, della propria esistenza, per provare a salvare il futuro già in parte compromesso di operatori turistici e commercianti? Quanto è vera la probabilità che riaprendo troppo presto bar, ristoranti e spiagge il Covid-19 torni a proliferare e a infettare clienti e turisti?
Provo a dire la mia. Questa pandemia non l’ha voluta nessuno. Non l’hanno voluta gli italiani, non l’ha voluta il Governo. È una delle tante disgrazie che ci possono capitare come i terremoti. La dobbiamo mettere in conto, insieme alle pesanti conseguenze e ai decessi che ne derivano. Discorso cinico? No, realistico. L’umanità non si estinguerà per il coronavirus di turno, come non si è estinta per tutte le altre pandemie e gli accidenti che gli sono occorsi nei millenni (la “spagnola” tra il 1918 e il 1920 fece nel mondo circa 100 milioni di morti) . Però conta come se ne esce di volta in volta.
Se tu Governo, pagato dai cittadini per far funzionare la sanità ma pure l’economia, per far fronte all’emergenza e contenere i contagi mi obblighi a stare in casa e a chiudere la mia attività, obbedisco. Obbedisco finché posso, però. Finché riesco a resistere. Ma se le chiusure si protraggono, se i miei denari finiscono e tu, Governo, non sei in grado di aiutarmi economicamente, un po’ perché non sai un po’ perché non puoi, allora io non obbedisco più. Perché devo rendere conto del mio operato alla mia famiglia, ai miei dipendenti che hanno famiglia; devo rendere conto alle bollette, alla rata del mutuo e alle fatture dei fornitori. Delle tue promesse che non si concretizzano, del tuo mendicare presso l’UE, a questo punto me ne frego. Mi attrezzo, mi adeguo alle norme di sicurezza e me ne frego. Riapro, anche a costo di finire in galera tanto, cos’ho da perdere più di quanto abbia già perso?
Non lo so quanti siano a pensarla così e poco m’importa. Certo è una forzatura, e in cuor mio m’auguro non si realizzi. Così plaudo a quegli operatori turistici e a quei commercianti che ieri a Castelfidardo (foto) e Loreto (ma è successo in molti Comuni d’Italia), si sono ritrovati in piazza e con dignità hanno consegnato simbolicamente ai propri Sindaci le chiavi dei loro esercizi e delle loro attività.
Una protesta pacata che dal mio punto di vista non servirà a nulla. E non perché i Sindaci in questione non peroreranno ai diretti interessati le richieste di sostegno economico e di riaperture veloci avanzate dai loro concittadini, ma perché occorre una pianificazione sburocratizzata, parecchio denaro, coraggio e un po’ di rischio se si vuole uscire da una criticità senza le ossa rotte. Tutte necessità e qualità che i “diretti interessati” hanno dimostrato fin qui di non possedere.