Camerano, 10 marzo 2023 – Da un po’ di tempo seguo su Facebook i post quasi quotidiani di Nicola Pesce (foto), scrittore e molto altro salernitano di 39 anni autore, fra gli altri, di “La volpe che amava i libri”. Questa mattina Nicola ha pubblicato una riflessione sull’umiltà che ha toccato corde sensibili del mio animo. La propongo integralmente all’attenzione dei lettori e senza commento, curioso di vedere e leggere le vostre reazioni.
Scrive Nicola Pesce: «Quando è successo che è morta l’umiltà? ho letto da qualche parte. E mi ha dato da pensare. Quando è successo che abbiamo tutti deciso di essere i più intelligenti, i più furbi. L’altro giorno in macchina andavo piano (siccome parto molto prima, non ho mai motivo di correre. Nella vita, arrivo sempre prima io di chi corre), e un tizio ha sgommato a tutta velocità per superarmi contromano, suonando.
Ecco, quando è successo che la sua bravata è diventata figa. E io che rispettavo i limiti sono diventato uno da suonare per punizione?
Io faccio passare sempre tutti quando guido, soprattutto i vecchietti, e gli faccio un sorriso enorme affinché capiscano che non solo li faccio passare, ma non gli do fretta, sono con loro. E la gente mi suona da dietro. Quando è successo che non far passare una vecchietta è diventato più figo che farla passare?
Tutti in macchine più belle della mia, tirate a lucido, tutti indebitati. Scrivo dei post e subito in 50 mi correggono l’italiano, e altri 50 mi danno lezioni di vita con un pesante sarcasmo, e altri 50 fanno la stessa battuta credendosi tutti originali. Parlo di donare coperte quando fa freddo, e mi scontro coi saccenti. Se parlo di far passare una mamma col bimbo sulle strisce, senza farli sentire in pericolo, cosa c’è da contestare?
Io non lo so. Io vivo semplice. Ho una vestaglia schifosa tutta strappata, ho i libri tutti disordinati in giro per casa, lavoro con passione, amo a perdifiato, mi alleno con costanza, scrivo e leggo libri. In casa ho certe lampadine che pendono dal soffitto con un cavo, amo le piccole cose, quando mi cucino i fagioli è una festa.
Come fa questo a essere peggio di chi spende i soldi per gli aperitivi in centro, di chi ha sempre la macchina nuova, di chi ha sempre fretta, di chi sta sempre con la capa nel telefono. Io mi sento ricco, ma così ricco che mi viene da piangere. Non solo ho tutto, ma ho talmente di più di quel che mi serve che ora mentre scrivo questa riga mi si riempiono gli occhi di lacrime: ci sono ancora i fagioli! C’è ancora un libro da leggere, ho il camino acceso e i piedi in certe calde ciabattone!»
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