Pane Burro & Marmellata

Una striscia quotidiana di riflessione


di Paolo Fileni

Portonovo, ripascimenti e arretramento stabilimenti

Oltre alla volontà del fare occorre una visione che non c'è e la capacità di spendere

Camerano, 9 agosto 2023 – Da quando sono tornato nelle Marche, quindici anni fa, e da quando seguo la vicenda come responsabile della testata Corriere del Conero, in merito alla Baia di Portonovo ne ho viste, sentite e pubblicate di tutti i colori. Costosi ripascimenti ripetuti annualmente che non risolvono, parcheggi “carestosi” a pochi metri dalle spiagge, caos viabilità, divieti a destra e a manca, autobus che prendono fuoco andando su e giù da monte a valle e viceversa, volontà ferrea e inamovibile di salvaguardare un ambiente unico: “belo un mal po’!”.

Una follia. Uno sperpero di denaro pubblico inaccettabile dovuto principalmente all’incapacità delle varie Amministrazioni (“gente che porta la capoccia pe spartì le ‘recchie”, cit. proverbio) nel trovare soluzioni definitive ed efficaci. Amministrazioni deboli e impaurite dal fatto che: “quella è la spiaggia privata degli anconetani, guai a chi s’intromette”, come mi è stato riferito da alcuni amici indigeni. Una riprova? Oltre una decina d’anni fa provai ad acquistare uno stagionale (un ombrellone e due lettini) in una spiaggia di Portonovo, non importa quale. Per il titolare della concessione ero uno straniero (non avevo e non ho un accento anconetano pur essendo nato in provincia dorica), mi rispose di no motivando: “qui la spiaggia è stretta, ci sono mareggiate impreviste che se la mangiano, e in quei giorni impossibile fruirne, se accettassi le ruberei i soldi”. Se non fosse vero ci sarebbe da ridere.

D’attualità l’idea dell’arretramento degli stabilimenti per acquisire più spiaggia. Favorevoli tutti: il Parco del Conero, il M5S, le associazioni ambientaliste come Portonovo per Tutti, Circolo naturalistico il Pungitopo, Comitato Mezzavalle Libera, Italia Nostra Ancona. Persino i concessionari degli stabilimenti, i diretti interessati per via del danno emergente e lucro cessante.

Tantissimi bla, bla, bla, di fiato sprecato emesso da tutti i soggetti coinvolti, non ultima la fresca Amministrazione Silvetti che ha sentenziato: “Baia di Portonovo a numero chiuso”, ma nessuna realizzazione concreta per risolvere l’annoso problema della vivibilità e della sana e comoda fruizione di questo luogo incantevole senza dover spendere cifre alla portata di pochi.

Diciamolo fuori dai denti, Portonovo non può e non deve essere solo la spiaggia degli anconetani. Perché il mare è di tutti. Poi poterne fruire o meno dipende dal luogo e dalla qualità dei servizi offerti. Molti anni fa, territorialmente Portonovo apparteneva a Camerano che la perse dopo una guerra con Ancona. Se gli anconetani vogliono Portonovo tutto per sé, caccino fuori i denari necessari per farla bella e accessibile.

C’è tanto lavoro da fare in quella Baia: arretrare gli stabilimenti – e magari anche i ristoranti, Fortino Napoleonico a parte -, rifare quel moncone di molo oggi fruito solo dai pescatori con canna e mulinello, attrezzare un po’ le spiagge libere oggi agglomerati di sassi e pietre, realizzare una strada d’uscita diversa da quella d’entrata…

Tanta roba per la cui realizzazione occorrono tanti denari e una visione seria proiettata verso il futuro. Ma soprattutto bisogna decidere, e forse è già troppo tardi, che cosa dovrà essere Portonovo. Quello che è oggi, con quel caos e quei problemi che tanto piacciono agli anconetani, o quello che potrebbe essere domani: una baia verde e azzurra in un contesto naturalistico invidiabile con strutture fruibili e spiagge confortevoli, con accessi comodi in entrata e in uscita. Allora, sì che sarebbe una Baia “Bela un mal po’!

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di Paolo Fileni

L’estate 2023 durerà due giorni in più

I nostri figli la potranno raccontare ai nostri nipoti?


Camerano, 10 settembre 2023 – Mancano undici giorni all’inizio dell’autunno. No, pardon, ne mancano tredici in questo 2023. Perché? Questo perché la durata di un anno solare (365 giorni) non corrisponde esattamente all’anno siderale, cioè al tempo impiegato dalla Terra per compiere un giro della sua orbita intorno al Sole, che è di 365,256 giorni. L’anno siderale è dunque circa 6 ore più lungo di quello solare. Da qui, l’inizio dell’autunno al 23 e non al 21 settembre.

Sia come sia, avremo due giorni in più d’estate quest’anno. L’estate più calda al mondo di sempre a detta di tanti specialisti del settore, puntualmente smentiti dal colonnello Mario Giuliacci, decano dei metereologi italiani. Che smonta anche la bufala dell’arrivo delle temperature a 50°. «Se così fosse stato, con valori reali e costanti, sarebbe stata una strage di anziani, un’ecatombe – ha dichiarato Giuliacci in un’intervista rilasciata a Libero – Al Nord invece siamo arrivati a 35, a Firenze e Perugia 36-37. L’unica città del centro in cui in queste ore potremmo arrivare effettivamente a 40 è Roma». Quando lo ha detto era il 20 luglio. Poi sono arrivate temperature altissime anche in Sardegna.

Che quella che ci sta per lasciare sia stata un’estate eccezionale, anomala per certi versi, lo testimoniano le temperature elevatissime e prolungate, i temporali a bomba e i nubifragi, le frane e gli smottamenti ripetuti, gli incendi in diverse regioni (molti dei quali dolosi) che l’hanno caratterizzata. Tutti accidenti che si ripetono ogni anno, per la verità, ma la sensazione è che l’accanimento di quest’anno sembra di gran lunga superiore ai precedenti.

Colpa del cambiamento climatico? Per certi versi sì, anche se questo genere di cambiamento è ciclico e sul nostro Pianeta si ripete a cadenze millenarie; se così non fosse non si spiegherebbero le varie ere glaciali della Terra. Fa paura, certo, perché il singolo individuo non ha memoria di questi cambiamenti del passato e ogni volta che arrivano vengono vissuti come eventi unici, catastrofici.

Colpa dell’uomo? Per certi versi sì. Pur essendo fenomeni naturali, dovuti all’oscillazione dell’asse terrestre, le colpe dell’uomo si riassumono nella sua ormai cronica incapacità nell’ascoltare e rispettare la natura. Da cinquant’anni almeno, nessuno draga più i letti dei fiumi; nessuno pulisce il sottobosco dall’accumulo di foglie stratificato; sono stati deviati i corsi dei fiumi e dei torrenti, incanalati e coperti da colate di cemento per guadagnare spazi edificabili; si è costruito là dove un tempo scorrevano – o addirittura a pochi metri dal mare – e dunque non dovremmo stupirci se quando piove i terreni collinari non assorbono più e l’acqua si riversa a valle trascinando con sé tutto ciò che trova. O se una potente mareggiata distrugge stabilimenti e case.

L’estate che sta per finire ci ha trasmesso per l’ennesima volta una serie di segnali inequivocabili, ma l’uomo (e i nostri governanti a tutti i livelli) stenta a recepirli, e di spendere soldi per arginare i cambiamenti climatici è un esercizio relegato in basso nelle priorità, un problema che si rimanda volentieri a chi verrà dopo. Ma chi verrà dopo sono i nostri figli che, se continuerà questo andazzo, un dopo non lo troveranno. Non ci sarà più un dopo da aggiustare ma solo un tempo che fu da raccontare ai nostri nipoti.

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