30 Set Sigfrido Ranucci: a Osimo il coraggio e la determinazione del giornalismo d’inchiesta
Un pubblico da tutto esaurito per il conduttore di Report, Rai 3, che ha divertito e affascinato con i racconti delle sue inchieste temerarie
Osimo – Gremita in ogni ordine di posti, con gente in piedi addossata alle pareti, la sala conferenze del Santuario San Giuseppe da Copertino ieri sera, venerdì 29, per il sesto appuntamento del Festival sul giornalismo d’inchiesta organizzato da Ju-ter Club Osimo e Circolo +76.
Sul palco a raccontarsi, divertire e affascinare c’era Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, la trasmissione di Rai 3 che delle inchieste giornalistiche ha fatto da anni il suo fiore all’occhiello. Vent’anni d’investigazioni, malaffare, indagini e soprusi scoperti e denunciati dalla redazione di questo programma che è diventato un cult del genere.
Sigrido Ranucci, coautore del programma – ne è stato il primo reporter nel 1977 anno d’avvio con la conduzione di Milena Gabanelli – ha eredito da lei il testimone della conduzione da quest’anno.
Arguto, ironico, ma soprattutto dotato di un grande coraggio, di un senso della notizia e della giustizia superiore alla media, Ranucci è quanto di meglio possa esprimere oggi in Italia il giornalismo d’inchiesta. Un genere dell’informazione fra i più difficili ed impegnativi, oltre che costoso, che molte testate hanno abbandonato.
Al suo attivo, come lui stesso ha raccontato alla platea, oltre 45 richieste di risarcimento danni per un ammontare di altrettanti milioni di euro. Report, è la trasmissione Rai che riceve più querele. «La Rai copre le spese legali – ha spiegato Ranucci – ma se poi perdi può esercitare su di te il diritto di rivalsa».
«Report, dunque, costa parecchio alla Rai» gli ha domandato Patrizia Ginobili del Tg3, moderatrice della serata insieme a Guido Maurino del Tgr.
«Mai quanto Fazio!» ha risposto Ranucci, facendo esplodere una risata e un applauso del pubblico.
Negli anni, sono decine e decine le sue inchieste e rapporti. Dall’intervista a Paolo Borsellino nel 2001, pochi giorni prima della sua morte, che gli valse un’accusa di manipolazione dei filmati; alla querelle con la Coca Cola che lo ha visto vincitore sui social in merito alla proprietà del colosso mondiale delle bevande (mai chiarita), e sui metodi utilizzati per la produzione della bevanda: «Per produrre un litro di Coca Cola occorrono 600 litri d’acqua» ha sostenuto il conduttore.
A fine serata, una di quelle che vorresti non finissero mai, gli è stato consegnato il Premio Inchiesta 2017: «Per la capacità di raccontare la realtà italiana con acume, originalità e spirito critico» la motivazione letta dal direttore artistico del Festival Gianni Rossetti.
In ultimo, come già accaduto con tutti gli altri ospiti del festival, a Ranucci è stata consegnata un’opera pittorica dell’artista jesino Giannetto Magrini.