Ancona – Ieri pomeriggio, giovedì 12 gennaio, il cantautore milanese Roberto Vecchioni ha fatto visita alla città dorica. A portarlo da queste parti è stata la promozione della sua ultima fatica letteraria: La vita che si ama, libro di racconti edito da Einaudi.
Una promozione avvenuta nella Galleria Auchan Conero, stracolma di fan e lettori che hanno goduto dell’eloquio e degli aneddoti raccontati da Vecchioni su di sé, suo padre e i suoi figli. Già, perché La vita che si ama è un libro di racconti che Vecchioni scrive per i suoi figli: Francesca, Carolina, Arrigo e Edoardo. E che si apre con una lettera loro destinata che parla della felicità:
“Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta.
Perché i momenti piú belli o piú intensi della nostra esistenza brillano nella memoria: sono luci che abbiamo dentro e che a un tratto sentiamo il bisogno di portare fuori. Magari per i nostri figli, e per tutti quelli che hanno voglia di ascoltare…”.

E parla in modo vivo e passionale di suo padre Aldo che, agli inizi della carriera musicale del figlio, ebbe a dire di Roberto: “M’intendo poco di quel che fa, percorre strade complicate che non mi appartengono, ma devo ammettere che fra i tanti non mi è capitato il più stupido!”
Ma parla anche di altro La vita che si ama: dei momenti comici e drammatici della sua carriera di insegnante; degli amori perduti o ritrovati. Poi ci sono le canzoni scritte in un arco di quasi quarant’anni. Ci sono squarci letterari; c’è l’amata casa sul lago, testimone di tanti momenti, alcuni dei quali difficili e persino spaventosi.

«Qui sono proprio io» scrive Roberto Vecchioni: e questo è davvero il suo libro piú intimo, piú autobiografico e urgente. Il libro in cui l’idea stessa della vita e della felicità, il senso del rotolare dei giorni, trova forma di racconto.
Personalmente lo conobbi proprio in quel suo periodo difficile della casa al lago, quando gli venne a mancare il babbo. Gli chiesi di scrivere la prefazione al mio primo romanzo, Tornare a vivere, e Roberto, nonostante il periodaccio acconsentì. Impiegò qualche mese ma alla fine la scrisse. Quando me la consegnò, nella sua casa di Milano, mi sentii in dovere di domandargli quanto gli dovessi per il disturbo. «Niente – mi rispose, guardandomi negli occhi e sorridendo – non sono mica Lucio Dalla!»
Non ho mai capito la battuta, né ho mai cercato di farmela spiegare. Anche perché a me Lucio Dalla piace parecchio.