L’estate 2023 durerà due giorni in più

I nostri figli la potranno raccontare ai nostri nipoti?


Camerano, 10 settembre 2023 – Mancano undici giorni all’inizio dell’autunno. No, pardon, ne mancano tredici in questo 2023. Perché? Questo perché la durata di un anno solare (365 giorni) non corrisponde esattamente all’anno siderale, cioè al tempo impiegato dalla Terra per compiere un giro della sua orbita intorno al Sole, che è di 365,256 giorni. L’anno siderale è dunque circa 6 ore più lungo di quello solare. Da qui, l’inizio dell’autunno al 23 e non al 21 settembre.

Sia come sia, avremo due giorni in più d’estate quest’anno. L’estate più calda al mondo di sempre a detta di tanti specialisti del settore, puntualmente smentiti dal colonnello Mario Giuliacci, decano dei metereologi italiani. Che smonta anche la bufala dell’arrivo delle temperature a 50°. «Se così fosse stato, con valori reali e costanti, sarebbe stata una strage di anziani, un’ecatombe – ha dichiarato Giuliacci in un’intervista rilasciata a Libero – Al Nord invece siamo arrivati a 35, a Firenze e Perugia 36-37. L’unica città del centro in cui in queste ore potremmo arrivare effettivamente a 40 è Roma». Quando lo ha detto era il 20 luglio. Poi sono arrivate temperature altissime anche in Sardegna.

Che quella che ci sta per lasciare sia stata un’estate eccezionale, anomala per certi versi, lo testimoniano le temperature elevatissime e prolungate, i temporali a bomba e i nubifragi, le frane e gli smottamenti ripetuti, gli incendi in diverse regioni (molti dei quali dolosi) che l’hanno caratterizzata. Tutti accidenti che si ripetono ogni anno, per la verità, ma la sensazione è che l’accanimento di quest’anno sembra di gran lunga superiore ai precedenti.

Colpa del cambiamento climatico? Per certi versi sì, anche se questo genere di cambiamento è ciclico e sul nostro Pianeta si ripete a cadenze millenarie; se così non fosse non si spiegherebbero le varie ere glaciali della Terra. Fa paura, certo, perché il singolo individuo non ha memoria di questi cambiamenti del passato e ogni volta che arrivano vengono vissuti come eventi unici, catastrofici.

Colpa dell’uomo? Per certi versi sì. Pur essendo fenomeni naturali, dovuti all’oscillazione dell’asse terrestre, le colpe dell’uomo si riassumono nella sua ormai cronica incapacità nell’ascoltare e rispettare la natura. Da cinquant’anni almeno, nessuno draga più i letti dei fiumi; nessuno pulisce il sottobosco dall’accumulo di foglie stratificato; sono stati deviati i corsi dei fiumi e dei torrenti, incanalati e coperti da colate di cemento per guadagnare spazi edificabili; si è costruito là dove un tempo scorrevano – o addirittura a pochi metri dal mare – e dunque non dovremmo stupirci se quando piove i terreni collinari non assorbono più e l’acqua si riversa a valle trascinando con sé tutto ciò che trova. O se una potente mareggiata distrugge stabilimenti e case.

L’estate che sta per finire ci ha trasmesso per l’ennesima volta una serie di segnali inequivocabili, ma l’uomo (e i nostri governanti a tutti i livelli) stenta a recepirli, e di spendere soldi per arginare i cambiamenti climatici è un esercizio relegato in basso nelle priorità, un problema che si rimanda volentieri a chi verrà dopo. Ma chi verrà dopo sono i nostri figli che, se continuerà questo andazzo, un dopo non lo troveranno. Non ci sarà più un dopo da aggiustare ma solo un tempo che fu da raccontare ai nostri nipoti.

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