In molti si sono chiesti, all’indomani dell’esclusione dell’aggravante della crudeltà ad opera della Cassazione nei confronti di Parolisi, come fosse possibile estromettere la crudeltà e le sevizie quando si è di fronte ad un reato eseguito con 35 colpi di coltello inferti alla moglie.
Lungi dal voler entrare nel merito del fatto: come abbiamo già avuto modo di dire, in questa rubrica il comune sentire il più delle volte non è in aderenza con quanto la legge stabilisce o con l’interpretazione che la stessa vuole.
Certo, la circostanza aggravante delle sevizie e delle crudeltà prevista dall’articolo 61 numero 4 del codice penale, vuole anche la cristallizzazione di un agire malvagio e insensibile ad ogni richiamo umanitario, quindi si accosta e si allinea al sentire comune.
Tuttavia la norma, affinché si risponda di sevizie e crudeltà, vuole che alla vittima sia inflitta una sofferenza che esula dal normale processo causale dell’evento morte.
Mi spiego meglio.
Nel processo ideologico il criminale ha come intenzione (prius), il far soffrire la vittima e si configura nel “suo cervello” la crudeltà e le sevizie come azione di una condotta criminale che guarda all’evento morte quale fatto accessorio, secondario (per dirla in termini giuridici: “sono volute le lesioni perduranti nel tempo affinché la vittima soffra quanto più possibile e resti in vita. L’evento morte, indifferente rispetto all’agire malvagio ed insensibile, è valutato in termine di “Dolo alternativo”).
Ecco come dette premesse, speriamo non troppo tecniche, portano ad escludere le sevizie e la crudeltà ogni qualvolta nella ricostruzione del fatto venga cristallizzato un agire del reo teso all’evento finale della morte, e se ciò accade attraverso un’azione condotta con violenza ripetuta, accanimento veloce (ci si passi il termine) ai danni della vittima, la crudeltà e le sevizie saranno sempre escluse.
Ecco come – siano 35, 50 o 100 colpi, se non trovano fondamento nell’animo dell’agente – sarà sempre esclusa l’aggravante della crudeltà che, occorre ribadirlo, rappresenta la spinta iniziale dell’agire del reo.
Ci si passi nuovamente il modo di esplicitare istituti giuridici tecnicamente complessi, ma solo al fine di rendere più agevole la lettura in un campo dove la scomposizione, l’architettura degli elementi costitutivi, richiede una esposizione semplice, elementare, quando si rivolge a un pubblico vasto e non tecnico.
Così, nel caso inizialmente citato, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto non sussistere la crudeltà poiché all’evidenza l’azione dell’agente altro non era che il modus voluto al fine di cagionare l’evento finale morte.
I numerosi colpi attinti, potrebbero (e qui sono considerazioni nostre), essere stati riportati nell’alveo dell’impeto che, rispetto alla malvagità e alla crudeltà, si distacca in quanto è fatto immediato, di scatto, appunto d’impeto.
Alla stessa conclusione si potrebbe giungere se Tizio vuole uccidere Caio con una pistola, e pur sparando il primo colpo al cuore da distanza ravvicinata, scarica l’intero caricatore sul resto del corpo.
Facciamo un esempio inverso. Tizio risponderà anche dell’aggravante della crudeltà e delle sevizie qualora incateni Caio, esplodendo all’indirizzo della rotula del ginocchio un primo colpo; poi sbeffeggiandolo per venti-trenta minuti; poi proseguendo esplodendo altro colpo nell’altro ginocchio, e così via per un lasso temporale idoneo ad infliggere gratuitamente patemi e sofferenze a Caio.
In questo caso, l’evento morte è una conseguenza delle lesioni (perché magari abbandona Caio al suo destino), o, in alternativa, perché stanco di proseguire nelle sevizie Tizio decide di infliggere a Caio un colpo mortale ad un organo vitale.