Il più delle volte nei casi di sangue più efferati, sono i media ad “aizzare” il popolo italiano sull’invocata decisione che il Giudice dovrà prendere in nome dei consociati.
La realtà delle cose sul terreno giuridico sfugge (e direi per fortuna), al sentire comune, dovendosi operare qualsiasi valutazione tenendo ben presenti solo ed unicamente gli elementi costitutivi di qualsiasi fatto che abbia rilevanza di natura penale.
L’aggravante della premeditazione, di cui all’art. 577 comma 1 numero 3 codice penale, in ipotesi di omicidio volontario “base” porta la pena prevista per quest’ultimo dai 21 ai 24 anni sino all’ergastolo.
Non analizzeremo qui le scelte difensive processuali della preferenza del rito con il quale farsi giudicare (ordinario, ove non è previsto nessuno sconto di pena in rito; abbreviato, qualora la condanna dovesse essere “fine pena mai”).
Ci soffermeremo quindi soltanto sulla circostanza aggravante della premeditazione, evitando tecnicismi e quindi offrendo al lettore alcune riflessioni “accessibili” anche ai non addetti ai lavori.
Contestare una norma, quale è l’aggravante in discussione, deve passare necessariamente da una cristallizzazione in atti processuali del fatto. Dato per scontato tale procedimento – ricostruzione processuale e storica dell’accaduto – si deve valutare se gli elementi costitutivi dell’aggravante in esame sussistono.
La premeditazione ha due elementi costitutivi.
- Il primo riguarda un “apprezzabile intervallo temporale” tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, e tale elemento viene definito “cronologico”.
- Il secondo riguarda la ricostruzione del modo d’agire del reo: dati di fatto, sfera psicologica, elemento ideologico, elemento soggettivo. In poche parole alla ferma risoluzione criminosa perdurante nel tempo (elemento oggettivo), senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento soggettivo).
Date tali doverose premesse con una recente sentenza della Cassazione (Sez. Prima del 19.4.2016 n. 49577), gli Ermellini hanno escluso la premeditazione in capo ad un soggetto che, in evidente stato d’ira, poiché denunciato da colui il quale sarà poi la vittima, uscendo dalla Caserma dei Carabinieri ove riceveva la notizia di essere indagato, chiamava i propri complici chiedendo di recarsi presso l’abitazione del denunciante e di recuperare una pistola per commettere l’omicidio.
Tra quel momento di determinazione e l’omicidio decorsero due ore.
Ed è qui che i Magistrati della Corte Suprema nel caso di specie, hanno ritenuto non correttamente applicata la circostanza aggravante della premeditazione ritenendo che il fatto configuri la mera preordinazione del delitto.
Il distinguo è proprio nel mancato radicamento da parte dell’agente con concomitante costante persistenza psichica del reo del proposito omicida.
Ed è la fase esecutiva che inquadra la preordinazione. Difatti si sostiene che la predisposizione dei mezzi (la pistola), ovvero le auto per raggiungere l’abitazione della vittima, ineriscono alla fase esecutiva e questa è da intendere quale preordinazione; la premeditazione deve risalire nel tempo.
Altra cosa sarebbe stata se il reo, furibondo per aver appreso di essere stato denunciato, maturava di vendicarsi, il giorno dopo studiava le mosse della vittima, il percorso, decideva giorno luogo ed ora dell’agguato, per poi realizzare quanto internamente deliberato.
Questo appena descritto viene definito “dolo di proposito”, ossia mi propongo nel tempo e quindi in me è costantemente presente l’intento criminoso, rendendo tale modus consacrare l’elemento dell’apprezzabile intervallo di tempo dalla originaria decisione, cui seguirà l’apprestamento dei mezzi, avendo ben avuto tempo di “ripensarci” anche valutando l’opportunità di recedere.
Quindi il concetto dell’agguato, molte volte impropriamente utilizzato come sillogismo automatico della premeditazione, non basta da solo a configurare tale gravissima aggravante. L’agguato è quindi un modo di eseguire il delitto, ma se isolato nella condotta rispetto all’elemento temporale non configura l’aggravante della premeditazione.