Inauguriamo la rubrica “L’avvocato risponde” affrontando un tema quanto mai attuale: le varie forme di istigazione e apologia in materia di terrorismo. Argomento di estrema vastità che cercheremo di ridurre quanto più possibile cercando di renderlo comunque esaustivo.
Apologia, dal greco απολογία , significa discorso in difesa di qualcuno o qualcosa; discorso teso a difendere se stessi o altre persone come anche idee e dottrine. Quindi in origine, l’apologia era la difesa in sede di processo di una persona accusata. Non a caso si parlava delle arringhe di Socrate come di “Apologia di Socrate”, negli scritti di Platone o Senofonte. I latini resero celebre “l’Apologia di Apuleio”, dove l’autore si difendeva dall’accusa di stregoneria. Più di recente, Lorenzo de’ Medici difese con Apologia, Annibal Caro. Anche la difesa della dottrina cristiana utilizza il termine “apologetica”.

Venendo ai nostri giorni, il Decreto-Legge n. 7 del 18 febbraio 2015, ha proseguito l’iter del legislatore impegnato nel tentativo di arginare le varie forme di proselitismi del tragico fenomeno di matrice islamica, sempre più amplificato da internet (del resto anche i reati pedopornografici subirono medesima sorte). Tale decreto, messo in atto per dare attuazione alla Risoluzione ONU n. 2178 del 2014, fu adottato dopo i tragici fatti del 7 gennaio 2015 contro la redazione parigina del settimanale satirico Charlie Hebdo. A cui seguirono i fatti di Nizza, Monaco e così via.
Come sempre il legislatore si muove in ritardo, con affanno, e quasi sempre sulla spinta emotiva prodotta da fatti così gravi e terrorizzanti. Approva testi normativi – ovvero ‘attacca’ a norme già esistenti nuove norme per così dire “innovative” – che non sempre si armonizzano fra loro e la nostra cultura pervasa da concetti e principi democratici, liberali, a volte liberisti.
Il nostro codice penale Rocco (risalente al 1933), delinea all’art. 414 i reati di istigazione e di apologia. La prima ipotesi si ha quando: “chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati“; la seconda ipotesi punisce: “chiunque pubblicamente fa apologia di uno o più delitti“. La differenza delle due fattispecie, figure autonome che ben potrebbero sommarsi, consiste nell’istigare direttamente una persona a commettere reati. Nell’apologia la condotta è nella spinta, indiretta, a commettere uno o più reati. In altri termini la differenza sta nella direzione che intendo imprimere al messaggio: istigo tizio a delinquere; faccio un discorso, pubblico post su Facebook, indirizzandoli a chiunque affinché commetta reati.
Esplicativo è il caso del noto scrittore e poeta piemontese Erri De Luca. Fu assolto per non aver in alcun modo fatto apologia spingendo i manifestanti a boicottare la TAV, perché ebbe ad esprimere un pensiero di contrarietà all’opera italo-francese. Nessuna sovversione, nessuna apologia dunque, ma solo un pensiero in difesa dei valori tesi a preservare le bellezze paesaggistiche della vallata.
Ma i principi strutturali delle due ipotesi di reato, istigazione e apologia, cristallizzati nel 1933, arricchiti e delineati dalla nostra Carta Costituzionale nel 1948, ripresi dalla nostra Corte Costituzionale nel 1970, quanto sono ad oggi sempre validi e “culturalmente” idonei? In grado cioè, di comprendere un fenomeno come quello del terrorismo islamico? Quanto effettivamente incidono i video raccapriccianti o i messaggi sul web ai fini della determinazione di gruppi o cellule dormienti in Europa? Quanto il consumatore (destinatario, ndr), viene istigato o indirettamente apologizzato rispetto ai tanti – e di diversa natura – messaggi che circolano in rete ?
In base alle nostre leggi, per quanto il giudice della legge o quelli di merito e di legittimità hanno cristallizzato in decenni di sentenze, nessuno può mai rispondere di istigazione o apologia se esprime una critica, un dissenso, un giudizio morale o sociale su questo o quel fatto; su questa o quella norma. Il discrimine, il confine viene oltrepassato solo se la condotta del pensiero o del messaggio tende a: “plaudire a fatti che l’ordinamento giuridico punisce come delitti o a glorificare gli autori. Non sono concepibili, infatti, LIBERTA’ E DEMOCRAZIA se non sotto forma di obbedienza alle leggi che un popolo libero si dà liberamente e può liberamente mutare ” (Corte Costituzionale sentenza n. 19, 8 marzo1962; n. 8, 6 luglio 1966; n. 84, 2 aprile 1969; n. 65, del 1970). Così come: “non basta l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, per quanto odioso e riprovevole esso possa apparire alla generalità delle persone dotate di un minimo di sensibilità umana. Occorre il rischio, non teorico ma effettivo, della consumazione di altri reati.” (Cassazione , sez. I, 5 maggio 1999 n. 8779; Cassazione sez. I, 5 giugno.2001, n. 26907; Cassazione sez. I, 23 aprile 2012, n. 25833).