San Benedetto del Tronto, 23 maggio – Pietro Sarchiè, 61 anni, nato a Porto San Giorgio e residente a San Benedetto del Tronto, era sposato con Ave Palestini e padre di due figli, Yuri e Jennifer. Era un venditore ambulante di pesce. Quella vita la faceva da 40 anni – era prossimo alla pensione al momento dei fatti – e prima di lui l’avevano fatta suo padre, sua madre, i suoi nonni e gli zii.
Pietro Sarchiè era, fino al 18 giugno 2014, quando nella sua vita sono entrati Giuseppe e Salvatore Farina, rispettivamente padre e figlio. Ufficialmente, muratore il primo, venditore di pesce il secondo.

Quel 18 giugno 2014 Pietro Sarchiè è stato assassinato a Sellano di Pioraco, nel maceratese, in un agguato che secondo la procura di Macerata gli è stato teso dai Farina: otto colpi di pistola di cui sei andati a segno e uno, quello mortale, sparato alla testa da distanza ravvicinata dopo che l’arma era stata ricaricata. Movente, eliminare la concorrenza del Sarchiè nella vendita del pesce.
Il pivellino ventenne Salvatore Farina, che si mette a fare il venditore ambulante di pesce e che trova sulla sua strada un Pietro Sarchiè che lo fa da quarant’anni. Una concorrenza quasi impossibile da vincere, se non eliminando letteralmente e fisicamente l’esperto e stimato concorrente.
Ed è proprio questo che hanno messo in pratica i Farina padre e figlio quel maledetto 18 giugno 2014. E a questa conclusione hanno portato le indagini e le prove raccolte minuziosamente dalla procura maceratese: il finto incidente inscenato dai Farina per bloccare il furgone di Pietro; gli otto colpi di pistola sparati; il corpo di Pietro bruciato e sepolto in un cascinale abbandonato in frazione Valle dei Grilli a San Severino; il suo furgone frigo smontato in più di 150 pezzi sparsi ovunque… Con le celle telefoniche che avevano agganciato i cellulari degli assassini dimostrando che erano nello stesso luogo durante le fasi dell’omicidio.

Il 13 gennaio 2016 arriva la sentenza di 1° grado: ergastolo con isolamento diurno per i Farina per concorso in omicidio, poi ridotto al semplice ergastolo per via del rito abbreviato.
Il 29 marzo 2017 processo d’appello in Ancona: la Corte conferma l’ergastolo in primo grado per Giuseppe Farina ma lo riduce a 20 anni di carcere per Salvatore. A pesare sulla decisione della Corte, la giovane età del reo e il fatto che fosse incensurato al tempo del delitto.
Il prossimo 29 maggio, in Cassazione a Roma, ci sarà il terzo grado di giudizio. Il procuratore generale delle Marche Sottani e il pm di Ancona Napolillo hanno fatto ricorso per i 20 anni di pena dati a Salvatore, perché ritengono che in questo caso non doveva essere data l’attenuante della giovane età.
Va ricordato, che il giudice di primo grado diede l’ergastolo a Salvatore Farina, non accettando proprio l’attenuante della giovane età.

Ave Palestini ha paura. Paura che in Cassazione, martedì prossimo, agli assassini di suo marito venga ridotta ulteriormente la pena. Una eventualità che non riuscirebbe a sopportare.
«Salvatore Farina e suo padre Giuseppe, insieme hanno premeditato, organizzato ed eseguito l’omicidio di mio marito – afferma Ave Palestini – Prima, durante e dopo. Salvatore, in tutto il suo percorso omicidiario, è sempre stato lucido e spietato, convinto e consapevole di ciò che stava facendo, senza dimostrare mai nessun tipo di pentimento. Neanche durante gli interrogatori».
Non ne può più Ave Palestini. Vuole giustizia piena e completa, per suo marito, per sé e per i suoi figli, e per raggiungere un minimo di serenità. Una condanna esemplare e duratura per chi le ha portato via per sempre il marito: «Questi mostri senza cuore – conclude – hanno fatto una cosa orrenda, hanno distrutto una bella e sana famiglia per motivi così futili da non credere: invidia e concorrenza sul lavoro. Sono indifendibili!»